Nobel per la medicina e la fisiologia al fondatore della paleogenomica: Svante Pääbo. Lo studio del passato attraverso la genetica.
(articolo desunto e rielaborato da quello di Annalisa Bonfranceschi, giornalista scientifica)
Pääbo il Nobel: il premio che corona la vita di uno scienziato che ha dedicato la sua esistenza allo studio ed alla ricerca ottenendo risultati eccezionali.
Ormai è sotto gli occhi di tutti il fatto che negli ultimi 70-80 anni il progresso tecnico-scientifico ha accelerato in modo esponenziale. I livelli di conoscenza raggiunti sono tali che neanche la fantascienza riesce ad immaginare.
Svante Pääbo (Stoccolma, 20 aprile 1955) ha vinto il Premio Nobel per la Medicina nel 2022. La sua attività, attualmente, la svolge presso il dipartimento di genetica del Max Planck Institute di Lipsia, in Germania.
Lui, anche se in parte sussistono ancora ampie lacune di conoscenza, ha svelato la storia della nostra specie. Molte circostanze della nostra evoluzione sono state scoperte nel corso delle sue ricerche e dei suoi studi. Molti risultati da lui ottenuti hanno letteralmente sconvolto molte credenze dando luce nuova all’evoluzione della nostra specie.
Tanto di quello che sappiamo sulla nostra storia lo dobbiamo a lui. Quando parliamo della nostra storia ci riferiamo a quella della nostra specie. Oltre a riassestare l’albero genealogico di molti soggetti che hanno partecipato all’evoluzione umana, Svante Pääbo ha anche aggiunto nuovi membri della famiglia degli umanoidi. Tra le altre cose ha scoperto tramite svariati e pazienti esami e confronti del DNA nuovi membri e le conseguenti relazioni che li legavano.
I suoi lavori hanno unito scoperte nell’antropologia collegata con la genetica e per questo il premio assegnatogli assume una valenza di alto valore scientifico.
Attualmente, il biologo svedese è considerato il padre della paleogenomica. A lui e ai suoi collaboratori dobbiamo la scoperta e la caratterizzazione di diversi fossili, molto spesso attraverso la ricostruzione di ritratti di famiglia.
Importante la scoperta recente dell’erede diretta (una femmina) dell’Homo di Neanderthal e dell’Homo di Denisova.
Il problema del DNA arcaico
L’uomo di Neanderthal in realtà era noto da tempo, circa un secolo prima che il biologo venisse al mondo. Scoperto nel 1865 come fossile rinvenuto nella valle di Neanderthal, in Germania, fu lungamente studiato utilizzando le analisi tradizionali di paleoantropologia. Le basi dello studio miravano anche sulle caratteristiche morfologiche anatomiche. Anche il contesto in cui vennero ritrovati i resti fossili ebbe la sua influenza.
Il lavoro di Pääbo con l’apporto di un altro grande del campo, il biologo neozelandese Allan Wilson, rivoluzionò quanto allora veniva considerato acquisito in materia. Si giunse fino allo stravolgimento di quanto si credeva dimostrando che a partire dal DNA arcaico è possibile ricostruire le tracce della nostra evoluzione. Naturalmente questo DNA oltre che disponibile doveva essersi conservato in modo da permettere il suo studio.
In effetti, l’analisi del DNA antico è complessa: le molecole nel corso dei millenni si frammentano, si modificano, si degradano per vari motivi fisico-chimici. La contaminazione degli elementi presenti nell’ambiente, le variazioni di temperatura ed altro rendono le condizioni non ideali per la conservazione del DNA. A questo si aggiunge il rischio di contaminazione dovuto al lavoro dei ricercatori, soprattutto in passato.
I lavori su Neanderthal e Homo di Denisova
I primi studi sul DNA dei Neanderthal mostrarono che si trattava di una popolazione distinta, probabilmente originata da un piccolo nucleo. Questo poi si espanse e poco contribuì geneticamente alle popolazioni umane moderne. Ci sarebbero voluti progressi tecnici di preparazioni e analisi del genoma e il sequenziamento del materiale del DNA. Invece i Neanderthal, che si erano separati da Homo Sapiens 800 mila anni fa, avevano contribuito alle popolazioni moderne. Oggi si stima che l’1-3% circa dei genomi moderni siano di derivazione neanderthaliana. Un’eredità che si fa risalire al periodo in cui le due popolazioni convissero in Eurasia. A lungo si è parlato di come fossimo tutti eredi dei Neanderthal ad esclusione delle popolazioni africane. Studi recenti, però, hanno suggerito che nessuna delle popolazioni moderne possa dirsi esclusa da questa eredità.
Svante Pääbo ha legato il suo nome anche ad un altro illustre antenato: l’Homo di Denisova. Un team di scienziati dell’Istituto Max Planck di antropologia di Lipsia guidati da Svante Pääbo sequenziò il DNA mitocondriale (che si eredita solo per linea materna). Il reperto era il frammento osseo di un dito mignolo di un giovane individuo di età stimata tra i 5 e i 7 anni e di sesso incerto trovato in Siberia. Ebbe il sopranome di donna X. Questo era un coevo di Homo Sapiens e dell’uomo di Neanderthal, vissuto tra gli 80 mila e i 40 mila anni fa.
Tali scoperte mostrano che mentre in Eurasia si espandeva il Neanderthal, a est si espandeva una popolazione distinta. Anche questa sarebbe rimasta in eredità alle popolazioni moderne, contribuendo a costituire fino al 6% del materiale genetico di popolazioni del sud-est asiatico.
Pääbo ebbe anche l’occasione di studiare la figlia di una Neanderthal e un Denisova, dimostrando che i due ominidi condivisero i luoghi e si incrociarono.
Attenzione!!!
L’autore che da anni si dedica alla ricerca delle origini dell’uomo ha voluto scrivere questo articolo per misurare l’interesse del lettore. Se la richiesta è congrua, seguiranno altri articoli. Le conclusioni, tra l’altro condivise da molti, potrebbero stravolgere la realtà nella quale tutti crediamo. Una sorpresa che dovremo assimilare a piccoli sorsi per poterli gestire con serenità.
Fonte immagine di copertina: https://www.larazzodeltempo.it/2019/dimensioni-denisoviani/