La speranza è un argomento in gran parte marginale rispetto ad un’ampia letteratura psicologica dedicata alle disfunzioni comportamentali, sia nelle ricerche svolte in Italia che nel mondo anglosassone.
Speranza, origine
Il significato della parola ‘Speranza’, si rimanda alla sua origine etimologica: proviene dal latino tardo ‘sperantia’, participio presente di ‘sperare’, che deriva da ‘spès’. Questo termine, a sua volta, risale alla radice sanscrita ‘spa’ e significa ‘tendere verso una meta’. I Greci indicavano la ‘Spès’ con il termine ‘Elpis’, che originariamente significava ‘desiderio’.
L’obiettivo della guarigione di un soggetto che accusa disturbi psichici è collegato strettamente all’importanza dell’ascolto e delle radici relazionali e fenomenologiche della psicologia e della psichiatria.
Da dove partire
Punto di partenza sono le “ragioni del cuore”. Queste, naturalmente, non possono, né potranno mai, essere contenute in un orizzonte esclusivamente positivista delle professioni di aiuto in campo psicologico. La cura non può mai rinunciare alle radicali ed irrinunciabili dimensioni relazionali della persona che, per lui, costituiscono le ragioni fondanti della sua esistenza. Infatti, può talvolta accadere che per la psichiatria la stessa disposizione d’animo non può non essere estesa a tutte le forme di psicoterapia.
Un disturbo psichico può sfociare in diversi comportamenti che possono interessare i campi più svariati della psiche.
Questi risultati emergono con chiarezza nei contesti clinici dove assumono un ruolo determinante: l’attenzione agli sguardi e alle parole e il sacro rispetto del silenzio in alcune forme di sofferenza psichica fondano la possibilità di stabilire una relazione con l’Altro. Anzi, proprio nella capacità di stabilire questo contatto risiede la possibilità di instaurare un rapporto di cura anche con quei pazienti apparentemente irraggiungibili e, quindi, di riaprire la porta alla speranza.
Cos’è che non va
Non è accettabile la scelta del psicoterapeuta che si illude di muoversi soltanto su un piano di supposto rigore scientifico. Anche se questa porta ad una corretta individuazione di sintomi e diagnosi. Addirittura anche consigliando un trattamento psichiatrico attribuendo al solo psicofarmaco il ruolo di agente di cura non è corretto.
Tali scelte negano l’ampiezza, la complessità e talvolta l’insondabilità del mondo della psiche.
Occore stabilire, sin dalle prime sedute, la differenza tra la depressione clinica, che il psicoterapeuta dovrà debellare e le varie declinazioni della melanconia, della tristezza e dell’estrema introversione che necessitano primariamente di ascolto e di attenzione sensibile.
La forza delle parole e la poesia danno speranza
Può sembrare strano, ma principalmente la poesia sembra essere in grado di fornire quelle sensazioni delicatissime e quasi ineffabili che riescono a dare voce alle speranze e alle sofferenze più profonde ed indicibili.
Ecco, allora, che le parole e i versi di scrittori e poeti sono le sole capaci di tradurre, attraverso le loro immagini e le loro evocazioni, quelle dimensioni emotive che spesso i pazienti non sono in grado di descrivere.
Le parole di due pazienti, tuttavia, danno invece la misura di quanto certi gesti (irreparabili, come il suicidio), se si stabiliscono determinate condizioni di ascolto, possano essere evitati.
Un problema che recentemente è emerso con forza è la questione dell’adolescenza. Qui diventa importante tema della relazione con gli altri. Si evidenziano alcune inquietudini tipiche di quella età e, soprattutto, la difficoltà di ascoltare, leggere ed interpretare il proprio mondo giovanile fisiologicamente caratterizzato dalla compresenza di slanci vitali e tormenti interiori ma che, oggi più che mai, necessita di riconoscimento ed attenzione.
Lo sguardo
È nello sguardo che avviene l’incontro e si stabilisce una relazione. Un dialogo pregno di opportunità troppo spesso non colte anche sul piano didattico dove l’attenzione all’apprendimento lascia talvolta ai margini alcune singole sensibilità non orientate a quella competizione e a quella ansia di visibilità che caratterizzano la società contemporanea.
Questo sguardo non è solo vitale nei rapporti sociali tra i giovani, esso è, in assoluto, una necessità sociale. Lo sguardo attento e gentile verso l’Altro! Uno sguardo che sappia intercettare le unicità e le sensibilità che si celano in altri sguardi che chiedono di essere riconosciuti ed incontrati.
È importante soprattutto ribadire quanto questo “sguardo del cuore” sia fondante in chi esercita una professione di cura come lo psicoterapeuta.
Ecco, allora, che lo psicoterapeuta dovrà fornirsi di una spiccata sensibilità, riuscire ad ascoltare il “non detto”. Inoltre, interrogarsi anche su ciò che muove quella situazione disturbante.
I comportamenti che stiamo considerando sono, generalmente, di due tipi: le radici motivazionali dalla “cura con il cuore” sono quelle che fanno riferimento principalmente ai valori della cultura cattolica, mentre, nell’altro caso, più laicamente, si avanza l’ipotesi ancora valida ed attuale che le ferite psicologiche dei curanti vengano continuamente rievocate e sanate dalla relazione di cura che risponde contemporaneamente a bisogni profondi di paziente e terapeuta.
Il Caso
Un ragazzo di 17 anni, accompagnato dalla madre, chiese il mio aiuto perché i genitori non si sentiva compreso. I suoi problemi che lo portavano a forti depressioni che ultimamente si andavano addensando. I genitori erano contrari al mio intervento, ma lui aveva molto insistito e l madre ha volutp accontentarlo.
Nella prima seduta mi ha raccontato che si sentiva disadattato, vivere in questo mondo gli sembrava assurdo, si chiedeva spesso “cosa ci sto a fare”. Aveva provato a viaggiare, ma ancora peggio, il risultato è stato a dir poco disastroso. Forse la soluzione era il suicidio, ma non voleva accettare questa soluzione che gli sembrava ridicola e priva di risposte. Lui voleva delle risposte e capire i perché di tante cose. Aveva molta speranza nei nostri incontri. Gli chiesi come erano i rapporti sociali con gli altri. La sua risposta fu terribile: “quando vedo gli altri, sento silenzio, come se non comunicassero con me, come se non mi vedessero”. Impressionante!
Il lavoro-cura si è sviluppato nell’aiutarlo a trovare lo sgiardo degli altri, perché doveva capire che solo nello sguardo può avvenire l’incontro. Da questo, stabilire quella relazione che ti fa sentire integrato nella società. Non è stato semplice, ci sobo voluti alcuni mesi, ma alla fine quel ragazzo, ora, sta vivendo una magnifica vita. Ora frequenta l’università, i suoi progressi sono ottimi, è fidanzato e i genitori si sono ricreduti sull’utilità della psicoanalisi.
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