Due settimane fa ho compiuto 27 anni e ho pensato che mi meritassi un bel regalo. La fine del 2024 non é stato un periodo facile tra il lavoro triplicato, un’influenza che non passava mai e i momenti di piccola e grande drammaticitá che caratterizzano la vita di tutti quanti.
Cosí io e il mio fidanzato abbiamo deciso di “evadere” per qualche giorno e come meta del nostro viaggio abbiamo scelto Sevilla.
Da sempre ho voluto conoscere la capitale dell’Andalusia, anche se eravamo incerti tra varie mete. Ma poi ci ha pensato il mio collega Alejandro, sevillano puro sangue, a convincermi con una frase che mi ha colpito nel mio punto debole “la birra non la paghi piú di due euro, le tapas pure”.
E cosí siamo arrivati a Sevilla. Con nostra sorpresa abbiamo scoperto che l’hotel si trovava nel centro del quartiere storico di Santa Cruz, il piú antico e movimentato della cittá. Eravamo letteralmente a due passi dalla mastodontica e arabeggiante Cattedrale, dalla Piazza di Spagna e dai giardini del Real Alcazar.

Sevilla mi ha regalato emozioni uniche che provo ancora a distanza di due settimane. La sera della vigilia del mio compleanno ci trovavamo nella piazza con la famosa scalinata con la scritta “I love Sevilla” e c’era una ragazza che con la chitarra cantava “What’s going on“, la mia canzone preferita! Ho pensato che fosse un regalo bellissimo per salutare i miei 26 anni e mi sentivo cosí tanto nel posto giusto al momento giusto che le lacrime hanno iniziato a scorrermi sul viso senza che me ne accorgessi e che potessi fare qualsiasi cosa per fermarle.
Mi é successa la stessa cosa il giorno dopo, quando mi sono ritrovata di fronte al gigantesco altare principale della cattedrale. Non ne avevo mai visto uno cosí. Un’emozione fortissima si é impossessata di me. Le parole non possono mai descrivere a pieno le sensazioni, e chiunque si sia trovato a piangere o con la pelle d’oca davanti ad un paesaggio o un’opera d’arte sa a cosa mi riferisco.

Ma non ho solo pianto, eh. In quattro giorni di viaggio, io e il mio ragazzo saremo entrati in quasi una ventina di bar e ristorantini per verificare quanto detto dal mio collega. Per fortuna in questo aspetto io e lui abbiamo gusti simili e quindi ci allontanavamo dai locali piú centrici e turistici, preferendo addentrarci dentro vicoli stretti e remoti alla scoperta di bar piú storici e meno affollati. Ho provato per la prima volta la coda di toro ( molto saporita, assomiglia alle costine di maiale), gli spinaci con garbanzos e il famoso salmorejo. Insieme a crocchette, carciofi (che ho scoperto essere un piatto tipico), qualsiasi tipo di carne iberica e tanto altro. Per quanto riguarda il bere, alternavamo la birra tipica di Sevilla, la CruzCampo, a calici di ottimo vino rosso andaluso.
Entravamo in qualsiasi locale mi chiamasse l’attenzione, il problema é che non erano pochi! E cosí abbiamo mangiato tantissimo (chi mi conosce sa quanto questa sia una delle mie attivitá predilette). Per quanto riguarda i prezzi, erano davvero bassi. Ovviamente dipendeva dal posto e dal mangiare, ma in media non superavamo il prezzo di 3 euro e 50 per piatto.
Mi sono ubriacata di Sevilla, delle sue vie strette strette, delle vetrine dei negozi grandi due metri dove lavoravano artigiani locali. Del flamenco che ascoltavamo ovunque, ovunque andassimo c’era un gitano con la chitarra che cantava “obí obí, obí obá, cada dia te quiero mas“. Dell’arte che si respira in questa cittá, dai grandi monumenti agli angoli piú nascosti dove c’é sempre un dettaglio tipico, che sia una panchina con i famosi motivi ‘sevillani’ o un albero di arance (la cittá ne é piena). Della gente, cosí gentile, e anche di quel freddo che mi mancava tanto che sentivamo la sera quando indovinate? Uscivamo da un ristorante.
Abbiamo visitato praticamente tutto. La cattedrale e la torre Giralda (piú di trenta piani ma che valgono la pena), la famosa Plaza de España, l’arena dove fanno le corride, qualche museo, la basilica di Macarena, i giardini del Real Alcazar di notte (in una performance di luci ed effetti speciali) e perfino l’acquario.
Dopo nemmeno un giorno mi sembrava di conoscere questa cittá da sempre. Non usavo nemmeno Google Maps per orientarmi! Sembarava che sapessi dove andare, mostrando un senso dell’orientamento che non sapevo di avere. E anche quando mi sbagliavo, scoprivamo qualche parte della cittá nuova e interessante.
Sevilla mi ha regalato dei momenti unici, come quanto un gitano di notte, nella piazza di Spagna, ci ha venduto due ventagli. L’uomo era un venditore nato. Ci ha insegnato come aprirlo, anche se l’ha capito solo il mio ragazzo e ci ha abbracciato forte quando glieli abbiamo comprati, benedicendoci. O quando la notte, di rientro all’hotel, ci sedevamo nella terrazza all’ultimo piano, da cui ammiravamo il profilo della cattedrale e i tetti delle case e si ascoltava in lontananza qualche gitano cantare. O quando mi hanno messo la canzone di buon compleanno in italiano (ora che ci penso anche in quel momento ho pianto).
Grazie Sevilla, mi hai regalato un sacco di momenti che mi sono portata al rientro, insieme ad un anno in piú e qualche chilo.
fonte foto: Gioia Bertonati