Sempre vorremmo trovare le soluzioni opportune per aiutare le persone che presentano patologie di origine psichica. Non sempre, però, riusciamo nell’intento per svariati motivi tra i quali il principale è la volontà del paziente.
Sempre lo psicoterapeuta, nella sua attività terapeutica ambisce a trovare quelle soluzioni che possano reintegrare il paziente nel mondo reale. Il terapeuta, cura la sintomatologia del paziente e indaga sulle possibili cause del malessere. Purtroppo, però, possono capitare delle persone che, pur essendo consapevoli del loro disturbo, assumono atteggiamenti negativi. Questi li fanno ancora star peggio e, malgrado questo, fanno di tutto per boicottare il successo della terapia perché hanno paura di guarire.
Molte malattie mentali possono procurare dei vantaggi complementari (una maggiore attenzione da parte della famiglia, trovare sempre un assenso alle proprie decisioni e così via. Tali vantaggi che il paziente capisce di avere perché affetto da quella certa patologia psichica sono difficili da abbandonare. Quando il paziente inizia a stare meglio e capisce che è arrivato il momento di cambiare vita, si spaventa. Accade che preferisce continuare a soffrire pur di non modificare nulla.
La reazione più comune è quella di scomparire e rinunciare alla terapia. In genere, asserisce di sentirsi meglio, oppure dice che con quella terapia non ha rilevato alcun miglioramento ed è inutile proseguire.
Anche se rare, tali situazioni possono capitare come nel seguente caso.
Il caso e la conoscenza di Pietro
Pietro è un uomo di quarantatré anni che soffre di ansia da quando morì suo padre, 10 anni prima. Tale evento l’ha molto toccato: per un periodo di tempo, la sera, quando pensava a suo padre, accusava dei tremori alle braccia ed alle gambe, ma poi questi effetti andarono a scomparire in modo naturale. Tuttavia, cominciò ad accusare dei forti attacchi di panico, ma, data la loro poca frequenza, pensò che fosse una cosa normale che poteva accadere davanti a delle situazioni estreme come trovarsi improvvisamente in una situazione finanziaria fallimentare (che comunque lui non aveva), essere lasciato dalla moglie (lei lo adorava), essere contestato dai due figli (erano due ragazzi straordinari).
Quando, però, questi attacchi aumentarono la loro frequenza, Pietro decise di ricorrere all’aiuto dello psicologo. Il suo stato finanziario è abbastanza buono, non dovuto alla sua attività che è impiegatizia e modesta, ma all’eredità paterna oltremodo generosa. Lui, comunque, sa amministrare molto intelligentemente.
Quando ha questi attacchi di panico, sempre, la moglie e i figli gli stanno molto vicini, lo coccolano e riescono a dargli un certo senso di sicurezza e serenità. Lui è cosciente di questo e lo apprezza molto perché comprende quanto la sua famiglia lo ami.
Strano però che i suoi interessi siano limitati, non ha particolari hobby né frequenta molti amici. In genere le persone che frequenta sono i vicini e qualche amico della moglie dei tempi universitari.
Il caso e l’apporto psicoterapeutico
Abbiamo iniziato un ciclo di incontri bisettimanali nei quali abbiamo approfondito la motivazione della sua ansia.
Pietro, figlio unico e maschio era il pupillo del padre, un uomo del meridione ancorato alla storica tendenza del figlio maschio. Qualsiasi problema era sempre risolto dal padre, uomo facoltoso e proprietario di molte terre a immobili.
La morte del padre portò un forte scompenso nell’ambito della sua sicurezza psichica. Fortunatamente la famiglia lo supportava in ogni sua volontà e solo quando, per una qualche causalità sfavorevole, lui si trovava solo, cadeva in un forte stato depressivo che lo portava al conseguente attacco di panico.
Gli incontri sembravano avere un certo risultato positivo, riusciva a muoversi con una maggiore indipendenza, senza l’esigenza dell’appoggio della famiglia.
Gli stessi familiari si accorsero del miglioramento e nel loro comportamento ci fu un apparente distacco, soprattutto perché vedevano che Pietro era più sicuro e indipendente.
Il caso e l’insuccesso della cura
Un giorno Pietro si trovò solo in casa (viveva in campagna in un casolare molto bello), la moglie al lavoro, i figli all’Università. Una telefonata del commercialista: bisognava decidere una certa questione che doveva risolvere entro pochi minuti. Era in corso una causa civile per le solite questioni di confini e l’avvocato che si stava interessando della questione aveva chiesto al commercialista alcune cose che, però, non sapeva. Quindi, il commercialista chiamò Pietro per avere delucidazioni in merito.
La prima cosa che gli venne in mente è stata quella di chiederlo al padre, riaffiorò il suo senso di insicurezza, l’ansia di prendere la decisione giusta e il successivo attacco di panico.
In casa non c’era nessuno, prima c’era sempre almeno la presenza di un familiare. Fu un pomeriggio per lui tragico.
Proseguimmo per qualche seduta la terapia, ma Pietro non fu più collaborativo, iniziò una forma sottile di sabotaggio, cominciò a dirmi che in fin dei conti non sta così male, che è convinto che con la presenza dei familiari risolverà qualsiasi problema e se non riesco a guarirlo non è un problema, lui sta bene anche così.
Dopo quella chiacchierata, non si è presentato all’incontro successivo, ho chiamato al telefono, mi ha risposto il figlio dicendomi che il padre aveva la febbre, una probabile influenza, si è scusato e mi ha detto che il padre avrebbe richiamato appena si fosse sentito meglio.
Pietro dopo tre anni non ha ancora richiamato …
I contatti per i consigli
Qualora il lettore ritenesse utile un colloquio o effettuare una comunicazione, potrà contattarmi attraverso la redazione o per telefono (+39 – 393 183 8610) o tramite posta elettronica: (francescaromanad@icloud.com).
La dott.ssa Francesca Romana Dottori offre il servizio di consulenza psicologica online tramite MEET e ZOOM, secondo le linee guida per le prestazioni psicologiche a distanza, approvate dall’Ordine Nazionale degli Psicologi.