A tutti quelli che volevano essere dei duri.

ByGioia Bertonati

25 Maggio 2025
duro

Ieri sera (sabato 17 maggio) è andata in onda la finale dell’Eurovision Song Contest a Basilea. Per chi non lo sapesse, è una gara prestigiosa tra cantanti a livello internazionale, un evento seguito da milioni di persone in tutto il mondo.

Tra cui me.

Ogni anno aspetto con ansia questo evento, perché è una vetrina di scenografie e costumi incredibili, curati nei minimi dettagli. E poi mi piace tantissimo il momento del televoto, quello in cui ogni Paese grida letteralmente il cantante che ha ricevuto più voti.

Beh, ieri sera é successo qualcosa di incredibile.

Non voglio parlare della polemica di Israele, arrivata seconda quando per molti non avrebbe dovuto nemmeno gareggiare.

E nemmeno dell’Estonia, che con il suo espresso macchiato ha scalato le vette raggiungendo il terzo posto.

Io voglio parlare di un piccolo miracolo chiamato Lucio Corsi, rappresentante dell’Italia, e della magia che ha compiuto.

Lucio Corsi, contrariamente a tutti gli altri artisti, non si è esibito con una scenografia importante. Come quelle piene di luci e colori accecanti, e schiere di ballerini professionisti. C’erano solamente lui, il suo amico Tommaso, una chitarra e una fisarmonica.

Ma quello che davvero mi ha colpito è stato il testo della canzone, che nella sua semplicità è arrivato al cuore di tutti, tanto da classificarsi quinto.

“Volevo essere un duro” è il titolo del testo, una specie di autobiografia dove il cantante racconta di aver sognato fin da bambino di voler essere un “duro”, come uno “scippatore”, una “gallina dalle uova d’oro” o un “lottatore di sumo”. Insomma, qualcuno di importante. Ma semplicemente non è diventato “nessuno”. O meglio “nient’altro che Lucio”.

E la verità è che mi ha commosso.

In una competizione tanto prestigiosa, dove i cantanti gareggiavano tra testi davvero banali (tranne qualche eccezione) o dove l’importanza del messaggio del testo veniva declassato dalla scenografia, Lucio Corsi ha cantato un inno alla semplicità.

Un inno per le persone che non ce l’hanno fatta a diventare dei duri, quelli tanto ammirati dalla nostra società contemporanea. Perché diciamocelo, i ragazzi di oggi ambiscono molto di più ai trapper che “cantano” di armi e denaro piuttosto che ad un Lucio Corsi e alla sua fisarmonica.

Perché bisogna essere dei duri, dei cattivi, per farsi rispettare e ammirare.

Ma lui no, lui non ce l’ha fatta, perché come dice “voleva essere una stella, ma è solo uno starnuto”.

E va bene così, va benissimo così.

“Volevo essere un duro” è un inno a quella semplicità che è la vera ricchezza, la vera chiave per vivere felici.

La semplicità, quel valore che ormai è andato quasi del tutto perduto in un mondo in cui più hai e più sei felice.

Per questo dico che Lucio Corsi ha compiuto un miracolo, perché la canzone può piacere come no, ma il significato è una bomba.

Perché ci insegna che essere se stessi è il vero modo per vivere la vita, e spero che questa canzone venga ascoltata nelle scuole e tra i ragazzi, Perchè nella vita reale non esistono gli ideali che tanto ambiscono. Perché siamo perfettamente imperfetti e tutti abbiamo difetti che ci rendono unici.

So che può suonare banale, ma non smetterò mai di dire che la vera piaga che affligge la società contemporanea è inseguire uno stile di vita “perfetto” che esiste solo nei social.

Perché come dice Lucio “le lune senza buche sono fregature”.

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