Un amico grandicello (87 anni nel 2020) con un passato tutto da raccontare e una produzione letteraria-teatrale sconosciuta.
Un amico che si è fatto da solo arrivando ad alti livelli culturali sollecitato dalla curiosità e dalla fervida fantasia che lo ha sempre contraddistinto.
Sto parlando di Eduardo Ciciriello. Ex direttore di produzione della RAI, viveva a Torino con la moglie Vanna.
Si stabilì a Maspalomas e tramite l’associazione A.P.I.C.E. abbiamo avuto modo di conoscerci. Subito è nata una certa intesa finché un giorno, raccontandomi del suo grande amore per il teatro mi consegnò alcune opere brevi, da lui scritte, per sottoporle al mio giudizio.
Ora Eduardo sta sicuramente facendo teatro nei luoghi a lui più consoni dove può spaziare con la sua fantasia. Io, che ancora permango su questo pianeta, ho la voglia di proporre alcuni suoi scritti che ritengo meritevoli d’essere letti.
Primo racconto: IL CAZZOTTO
Il cazzotto, inteso come pugno. Il “diretto”, termine pugilistico, indicante il cazzotto appunto, sferrato o preso, secondo i punti di vista, fra due pugili sul ring. Lo vidi partire, veloce e bianco come una palla di neve. Lo sentii arrivare, caldo e soffice come un cuscino di piume: fui invaso da un dolce tepore, che attraversò, dalla testa ai piedi tutto il mio corpo. Una sensazione di benessere e rilassatezza, come dopo una tonificante sauna, si impossessò del mio corpo che sentivo come cosa distinta da me, sapevo per certo che nulla e nessuno avrebbe potuto turbare o minimamente influenzare lo stato di grazia in cui mi trovavo.
La sensazione di benessere
Finalmente erano spariti le preoccupazioni, i dolori, la fame, la sete. Le ingiustizie, e tutte i vari accidenti che, la frequentazione col prossimo, ogni giorno mi colpivano. Tutto ormai era sparito, si era dissolto come un fetore nell’aria pura di montagna, come si dice, neve al sole. Come non fossi mai esistito, mi sentivo, nella mia leggerezza, come una piuma fluttuante nell’aria, che non ha nessuna intenzione di posarsi in terra: ecco, non esisteva più l’attrazione gravitazionale. La terra, le cose terrene tutte, anche se fossero realmente esistite ora non c’erano più: la catarsi dell’eterno dramma del vivere!?
Il monotono andamento della vita
Tutte le sere finito il lavoro salivo in macchina e ripartivo verso casa. Lavoravo a sessanta chilometri dalla mia città: Eterno viavai! Viaggio monotono, le manovre di guida, poche e facili, eseguite con istintività ripetitiva, lasciavano molto spazio alla mia mente di divagare e fantasticare. L’autostrada dritta senza curve favoriva la mia immaginazione: le luci delle macchine che incrociavo assumevano una scia senza soluzione di continuità.
Il ricordo ricorrente
Una sera, mancavano pochi chilometri alla mèta, mi ricordai, sempre influenzato dal viavai delle auto, di quella volta al ristorante: il via vai dei camerieri dalla sala alla cucina e viceversa, era molto simile allo incrociarsi delle auto. Ero affascinato dalla destrezza con cui i camerieri esercitavano quella manovra. Carichi di piatti col cibo, dalla cucina e di piatti vuoti dalla sala verso la cucina. Sembravano tante auto appunto che s’incrociavano sull’autostrada. L’auto filava liscia e veloce, il calduccio confortevole, il cicaleccio dell’autoradio e il dondolio, mi accarezzavano dolcemente il corpo e alleggerivano il cervello dal gravame giornaliero. La stanchezza sparita come dopo una doccia calda. Ero pervaso da una sensazione di appagamento rilassante, preludio a un sonno ristoratore: appunto, mi addormentai.
L’incidente
Improvvisamente, senza preavviso, un “cazzotto” mi arrivò in pieno viso, violento e indolore. Un diretto di quelli che mettono fine a ogni combattimento: il KO. I pugili lo temono, perché sanno che prima o poi arriverà. Ero disteso supino, sul tappeto del ring, mi parve di sentire contare… uno, due, tre… ma che vuole costui…? Perché mi disturba…? Perché vuole svegliarmi a tutti i costi? Proprio ora che mi ero appena assopito! Quattro… cinque… sei… sette… otto… nove… dieci: out! Finalmente, silenzio. “Ora, finalmente posso riposare” pensai. Le voci… il frastuono… (gli applausi forse?) mi giungevano ovattate e confortevoli, le carezze ristoratrici della spugna che mi detergeva il viso da quella brodaglia densa (sangue… o sugo?) che lo ricopriva, conciliava il desiderio di riprendere sonno. L’andirivieni intorno a me continuava, cuochi coi grembiuli bianchi, camerieri, curiosi che s’informavano sul mio stato. Le sirene delle ambulanze, laceranti e lugubri, squarciano il silenzio della notte. C’è un detto popolare che recita: “Quando senti una sirena d’ambulanza, stai tranquillo, se la senti, non viene per te” Perché mi veniva in mente, ora, quel detto? Forse per rassicurarmi delle mie condizioni?
Il coma
Non avevo male, non sentivo nessuna sensazione di fastidio o altro, solo un po’ di confusione, anzi tanta confusione. Un attimo fa ero sul tappeto di un ring, eccomi ora sdraiato sul pavimento del ristorante. Ecco perché i cuochi in bianco… i camerieri curiosi. Cosa stava succedendo? Perché tanta confusione? Sentivo parlare senza capire cosa dicessero, qualcuno mi asciugava il sudore… il sudore? O altro… sangue? Forse. Avevo sonno, tanto sonno, eppure tutti facevano a gara per tenermi sveglio, cercavano con ogni mezzo: schiaffi sul viso, pugni sul petto, mi chiamavano per nome, (come facevano poi a sapere il mio nome degli sconosciuti?). Niente. Neanche con pungoli elettrici di una macchina infernale riuscivano a svegliarmi. Niente, dormivo. La dolcezza a volte serve, qualcuno si chinò su di me, e facendo forza con l’indice e il pollice di entrambe le mani, mi aprì la bocca, quindi, con tutta la passione possibile mi diede un bacio, anzi, più di uno: lo schifo, e il ribrezzo, mi colpirono la bocca dello stomaco, un conato di vomito cercò di rimandare in superficie quel misto di alito cattivo, effluvi di fumo di sigaro rappreso e aglio marcio, unito all’umido contatto di quelle labbra e quella lingua che da tempo erano disertate da ogni spazzolino e dentifricio.
Il cervello continua a funzionare a modo suo
No, non potevo, né volevo accettare tutto ciò. Allora, per distrarmi da tanto schifosa violenza, cominciai a pensare ad altro. Ma ecco, quando meno te l’aspetti, mi fu tutto chiaro: il ristorante, le corsie per entrare e uscire dalla cucina, le porte che si aprivano e chiudevano lasciando entrare e uscire i camerieri. Ed io ero lì. Con loro, i camerieri. Cosa ci facessi non lo so, ma ero lì. Era successo, per fare le cose di fretta senza pensarci, avevo sbagliato corsia: avevo imboccato la corsia di sinistra, nel momento stesso che realizzavo l’errore, troppo tardi per correggermi, ecco il “Cazzotto”. Ero a un passo dalla porta in quell’istante, come spinta da una valanga d’acqua, la porta si aprì vidi avvicinarsi ad una velocità supersonica l’oblò, luccicante come cristallo di luce riflettente, mi colpì violentemente. Il bianco tsunami, m’inondò con la sua calda schiuma. Ero ora disteso, svenuto sul pavimento del ristorante. Quello che successe dopo l’ho già raccontato.
I giornali
La cronaca delle gazzette, arida e impersonale, dava le notizie dei vari incidenti che si erano verificati il giorno prima. La sera stessa, le ultime notizie dei TG, erano riusciti a fare cenno dell’incidente, corredandoli con alcune immagini. Non fosse stato per la tragicità dell’accaduto, le immagini avevano un non so che di comico, di paradossale, (come tutta questa storia, del resto), sembrava la scena di un film comico-demenziale: l’auto, a cavallo del Guardrail era letteralmente squarciata in due, in senso longitudinale, le due parti, tenute unite da un lembo della parte posteriore, aprendosi, aveva formato una grande V, con l’estremità anteriori formante un ghirigoro a virgola. Il conducente, ancora seduto e con le cinture allacciate, era sulla parte di sinistra dell’auto, col viso poggiato sull’airbag, sembrava dormisse. Un’espressione distesa e soave, quasi sorridente, come sognasse, aleggiava sul suo volto. Il cronista, con la solita saccente millanteria, esagerava, con dovizia di particolari, sconosciuti ancora agli inquirenti, raccontava l’accaduto: ≪La velocità elevata, più 140km/h, (come faceva a saperlo) è la causa scatenante di questo “frontale”. Un colpo di sonno del guidatore, (di chi se no) è certamente la causa dell’uscita di strada e dell’inevitabile invasione della corsia opposta. Pensate, la macchina, (si fa per dire, un’auto senza parte anteriore con motore posteriore, tutta di plastica), è stata squarciata in due, dalla lama del guardrail e ha concluso la sua corsa contro il pilone di un ponte. Le condizioni del guidatore (sempre lui) sono apparse subito molto gravi.
Il soccorso tempestivo
L’arrivo tempestivo dell’autoambulanza ha consentito di prestare le prime cure al malcapitato cercando inutilmente e con ogni mezzo di rianimarlo. Trasportato all’ospedale. È giunto in stato comatoso. Difficilmente passerà la notte≫. Questo servizio televisivo, un “redazionale”, cioè fatto in redazione, ci fornisce le prove provate, (come ce ne fosse bisogno) di dubitare sulla veridicità dei fatti e della serietà con cui, questi sedicenti giornalisti, ci ammanniscono le notizie.
Dicevo, una sensazione di benessere avvolgeva la mia mente, non era il corpo a non dolermi, era piuttosto quella quiete dopo la tempesta, quella cessazione del dolore a darmi una leggerezza incorporea, tanto da farmi fluttuare leggero come una piuma. Come in uno stato di non gravità, certo ora mi era tutto chiaro. Mi ero addormentato.
Sogni e realtà
Il ring, il ristorante, e le sue porte a vento, i cuochi con i grembiuli li avevo sognati. E il “Cazzotto”? No! Quello no, quello era reale. Non era il “diretto”, l’anta della porta a vento a colpirmi, bensì l’airbag, la “palla bianca e soffice, come un cuscino di piume”: (si fa per dire), con tutta la potenza della sua esplosione, aveva trasformato il mio dolce sonno, nello stato comatoso in cui ora mi trovavo.
Ah… dimenticavo, vi voglio mettere in guardia sulle credenze popolari: quando sentite una sirena d’ambulanza, questa può venire anche per voi! Stavo bene. Anzi, benissimo, mi sentivo come una piuma fluttuante nell’aria tiepida, di una giornata di primavera. Le voci, i rumori, mi giungevano discreti e rispettosi, forse, del mio stato di paziente in coma. Il mio corpo era disteso supino sul letto, fili e tubicini si dipartivano da esso, dal mio corpo, non dal letto, verso varie apparecchiature sfavillanti di luci: monitor con schermi illuminati da numeri e diagrammi incomprensibili ai più, ma certamente, molto chiare ai “Luminari” (?)
Sembrava di stare in una regia televisiva, in piena attività. In quella “Babele”, si sentivano impartire ordini concitati che venivano eseguiti con rapida immediatezza, fra concitati confabulare e improvvisi e misteriosi, terrificanti silenzi: sembrava (o era proprio così?) che improvvisamente, nessuno avesse la più pallida idea di cosa dire o cosa fare. Questi silenzi, a ben vedere, dovevano spaventarmi, in verità, dovete credermi, non avevano nessuno effetto su di me, in poche parole, non me ne poteva fregar più di tanto. Mentre mi “allontanavo” da quel caos organizzato, riuscii a percepire le ultime parole, sconsolate nella loro accorata delusione: “Mi sa che qui non c’è più un cazzo da fare”!
Strane visioni
Ora mi trovavo in una immensa sfera piena di luce calda dalle tonalità irreale, un’aurora giallo oro striata di sfumature rosa tea. Nell’immensità in cui mi trovavo ero contornato da immagini sfocate nei contorni e trasparenti come fossero ologrammi proiettati da potenti e invisibili proiettori. In tutte le direzioni volgessi lo sguardo, per tutto il volume di quella infinita “Bolla di sapone,” queste innumerevoli immagini fluttuavano leggere in quell’immane “Sottovuoto”. Tutto era avvolto da un “Musicale” e piacevole silenzio (La somma di tutti i rumori, di tutte le cacofonie, non è altro che Grazia e Armonia)! Io, tranquillo come fosse la mia normalità, mi trovavo fra loro e nessuno di questi sembrava curarsi di me.
In questo “Non posto,” non mi stupiva il fatto che per vedere non si aveva bisogno degli occhi, per sentire, delle orecchie, per camminare delle gambe e così per tutti gli altri sensi. Qui, era “la mente a percepire tutte le sensazioni. Sapevo, tramite essa, che dovevo raggiungere un punto ben preciso per completare la mia totale “Decantazione,” chiamiamola così, e uniformarmi con quello che mi circondava, poi venivano esaminate tutte le mie credenziali e se tutto fosse risultato esatto e completo potevo passare alla fase successiva per dare inizio al “CONGIUNGIMENTO. Il BIG BANG: L’ESLPOSIONE. IL CONGIUNGIMENTO: L’IMPLOSIONE”. Telepaticamente ci veniva impartita questa “CONOSCENZA”.
Le visioni e il delirio
L’immane deflagrazione del “BIG-BANG” aveva cosparso l’Universo (e ancora continua), di miliardi di galassie, in esse miliardi di miliardi di stelle. Io ero la milionesima molecola contenuta in granello di sabbia: (Miseria umana)! “L’IMPLOSIONE” invece, il procedimento inverso, dove tutta la materia ritornava al punto d’origine. Un infinito, enorme “BUCO NERO”, ove tutto veniva fagocitato e smaterializzato. Qui si compiva, appunto, il CONGIUNGIMENTO. “TUTTI” saremmo ridiventati “UNO”: forse DIO? …forse! Ciò non ci era stato dato di sapere, “LA CONOSCENZA” era molto vaga su questo argomento, ma i più svegli di noi avevano mangiato la foglia. Il mio cammino verso il “CHEK-POINT” procedeva lentamente, ostacolato com’era dall’accanimento terapeutico e il continuo e indefesso prodigarsi dei detentori del mio corpo materiale.
Il miracolo
La lotta era impari, lo sapevamo tutti, solo un miracolo poteva far volgere la vittoria a favore di questi ultimi. In verità, da parte mia, non facevo nulla per favorire la loro vittoria.
Purtroppo, avvenne il miracolo. Improvvisamente qualcuno entrò in contatto con me.
≪Fermo≫, disse. ≪Carissimo, non facciamo furbate. Il tuo viaggio finisce qui. Non hai ancora scontata la tua “pena”, è d’uopo quindi che tu ritorni. Il tempo che ti era stato dato sulla terra non è ancora finito. Ritorna a vivere, la tua condanna ti aspetta, e non ci riprovare più. Verrà il tuo momento… ah se verrà≫. Come d’incanto mi ritrovai incolonnato nella corsia opposta, (ci risiamo con le corsie) con quelli come me che “ritornavano.”
Non ho più (volutamente) memoria di quello che ero prima dell’incidente. I clinici dicono che ci vorrà parecchio tempo prima che riacquisti le mie piene facoltà. Il racconto su descritto avvalora la loro tesi che solo un demente può raccontare tutte quelle stupidaggini, il trauma al cervello è stato irreversibile. Dopo quel “CAZZOTTO” solo un miracolo potrà restituircelo guarito.
Ora sono ospite di una villa in riva al mare, a Maspalomas, ‘alle Gran Canarie’. Qui l’estate dura 10 mesi, gli altri due, uno è primavera, l’altro è autunno. Quello che ho sempre sognato. Come si dice… non tutto il male viene per nuocere.