La psicoterapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti
La psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC) nasce negli anni ’60 con Albert Ellis e Aaron Beck.
Famosa nel campo della psicologia una frase attribuita a David Burns scritta in un suo libro dove racconta in maniera divulgativa l’essenza della terapia cognitivo-comportamentale: “le emozioni di una persona hanno origine dai messaggi che tale persona invia a se stessa”. Naturalmente tali messaggi sono frutti del proprio pensiero che pertanto sono i responsabili diretti e primari delle emozioni.
Se sussiste la necessità di ristrutturare e/o modificare le emozioni, sarà necessario intervenire sui pensieri per una corretta regolamentazione delle emozioni.
Terapia cognitivo-comportamentale
La terapia cognitivo comportamentale è un orientamento della psicoterapia. Essa raggruppa al suo interno differenti teorie, modelli psicopatologici, tecniche di trattamento, ma che presentano caratteristiche comuni. Oggi, tale terapia è diffusissima e considerata scientificamente valida ed efficace dalla scienza internazionale.
La psicoterapia cognitiva e comportamentale spiega il disagio emotivo attraverso una complessa relazione di pensieri, emozioni e comportamenti. La nostra mente è un’entità pensante che elabora le informazioni che riceve. Successivamente produce dei processi di comportamento che scaturiscono dalle emozioni che raggiungono la persona che ha elaborato i dati.
Informazioni dall’esterno → Elaborazione della mente che ha ricevuto le informazioni → Formazione di un proprio pensiero → Emozione come risposta finale del processo.
La psicoterapia cognitivo comportamentale ha lo scopo di individuare tali pensieri disfunzionali e modificarli. In ognuno di noi, in determinate situazioni, insorgono particolari pensieri, di cui spesso non siamo consapevoli, che possono dar vita a emozioni e comportamenti problematici e fonte di malessere.
Breve storia
Aaron Beck afferma che la nostra mente presenterebbe delle “distorsioni cognitive”. Questi sono modi di pensare disfunzionali che possono provocare errori cognitivi che ci possono portare ad agire in modo non adeguato e discutibile di fronte a situazioni difficili.
Le distorsioni cognitive sono quindi errori procedurali del pensiero che provocano la scorretta interpretazione delle esperienze.
Un esempio di distorsione cognitiva è il pensiero dicotomico: le situazioni sono valutate in una logica tutto o nulla / bianco o nero. Esempio “ho fatto arrabbiare i miei genitori, sono un pessimo figlio”, “ho commesso un errore, sono stupida”). Un altro esempio è l’astrazione selettiva dove si presta attenzione solo al dettaglio o a un aspetto della situazione, ignorando spesso gli aspetti positivi.
Albert Ellis, altro esponente di spicco, contribuì attivamente alla terapia razionale emotiva comportamentale.
Ellis accompagnò i suoi pazienti analizzando e modificando le loro credenze, pensieri e comportamenti, evitando le catastofizzazioni, le doverizzazioni e promuovendo l’accettazione incondizionata di se stessi.
Nella seconda metà del XX secolo, la terapia cognitivo-comportamentale prende piede in ambito clinico e nell’ambito della ricerca scientifica.
In uno studio del 2015, Paulo Knapp (psichiatra brasiliano), Christian Kieling (psichiatra brasiliano) e lo stesso Aaron Beck hanno rilevato che la psicoterapia cognitivo-comportamentale era la forma di psicoterapia più utilizzata tra i terapisti intervistati in un convegno svoltosi a Rio de Janeiro (2015).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha un posto centrale come intervento di prima scelta nelle linee guida internazionali dei trattamenti psicosociali di svariati disturbi psicopatologici.
Come funziona la terapia cognitivo comportamentale
La psicoterapia cognitivo comportamentale prevede che vi sia un’attenzione molto alta nella definizione chiara, concreta e condivisa con il paziente degli scopi della terapia. Gli obiettivi vengono condivisi tra paziente e psicoterapeuta, in funzione della diagnosi e concordando con il paziente un piano di trattamento. È nella buona prassi che il terapeuta valuti in modo oggettivo (anche attraverso test e questionari) i cambiamenti sintomatologici e l’andamento rispetto agli scopi definiti nel corso della psicoterapia.
Dopo aver definito e condiviso gli obiettivi del trattamento, nella terapia cognitivo comportamentale, lo psicoterapeuta e il paziente collaborano attivamente per identificare pensieri, emozioni e comportamenti che entrano in gioco nelle situazioni di malessere e psicopatologiche. Quindi collaborano attivamente per modificare pensieri e comportamenti negativi e per regolare in maniera efficace le proprie emozioni.
Il paziente viene chiamato ad agire attivamente nel corso della terapia. Ad esempio identificando i propri pensieri ed emozioni, essendo stimolato a formulare pensieri e credenze alternative, sperimentandosi in repertori di comportamenti differenti, praticando diverse tecniche per facilitare la regolazione emotiva, sia in seduta che a casa nel corso della settimana. Quindi, la terapia cognitivo comportamentale implica la prescrizione di “compiti a casa”, per promuovere modalità di riconoscimento e regolazione delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti acquisiti in seduta.
La psicoterapia cognitivo comportamentale lavora quindi sul presente, sul “qui ed ora” in termini di funzionamento del paziente, indagando e lavorando su emozioni, pensieri e comportamenti del presente, che emergono nella quotidianità della vita di ciascuna persona. Tuttavia diversi modelli e teorie all’interno del gruppo delle psicoterapie cognitivo comportamentali considerano importante anche l’indagine del cosiddetto “passato” per comprendere in che modo il paziente ha costruito e/o appreso determinati schemi, credenze su di sé e sugli altri.
La terapia cognitiva: indicazioni
La psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC) può essere considerata il trattamento psicologico d’elezione per diverse situazioni di malessere psicologico e per diversi quadri diagnostici psicopatologici e psichiatrici, con una evidente efficacia dimostrata a livello scientifico.
Elenchiamone alcune:
- Disturbi d’ansia: attacchi di panico, ansia generalizzata, fobia sociale, ipocondria, fobie specifiche;
- Disturbi dell’umore unipolari e bipolari: depressione e disturbi bipolari (i secondi in associazione alla terapia farmacologica)
- Disturbi del comportamento alimentare: anoressia, bulimia, etc.
- Disturbo ossessivo-compulsivo
- Disturbo post-traumatico da stress
- Disturbi sessuali
- Insonnia e disturbi del sonno
- Disturbi della personalità
- Schizofrenia e psicosi (in associazione alla terapia farmacologica)
Il caso
Una delle mie prime clienti. Una ragazza di 19 anni accompagnata dalla madre. Per la festa di fine liceo, con i compagni della sua classe, andò nella villa del papà di un suo compagno. Un po’ per allegria, un po’ per gli alcolici, insomma si ritrovò a letto con quello che era il suo fidanzatino liceale. Conseguenza di quella nottata fu un bellissimo bambino. Lei però non era pronta.
Anche se il fidanzatino, divenuto poi suo marito, le stava molto vicino, lei era terrorizzata dal fatto che avesse potuto nuocere al bimbo perché lo vedeva così piccolo e indifeso. Lei si sentiva maldestra nel fare quello che una brava mamma avrebbe dovuto. Addirittura aveva dei veri e propri attacchi di panico e questo rendeva pericolosa la gestione del figlio. La mamma della ragazza si era in parte sostituita alla figlia per quelle cose da fare, ma pretendeva comunque che la figlia le fosse accanto.
La sua patologia era evidente: si trattava del disturbo ossessivo-compulsivo nel post-partum.
Ho applicato la psicoterapia cognitivo-comportamentale: occorreva fornire alla ragazza una struttura cognitiva adeguata a gestire le emozioni di ansia, per sviluppare in modo sano il senso di responsabilità e saperlo controllare per evitare che la troppa responsabilità superasse il suo livello mentale delle emozioni e cadere negli attacchi di panico. Ho lavorato anche sul carattere della paziente per allontanare quei momenti di incertezza che potevano essere dannosi per le sue scelte.
Il risultato fu incoraggiante e gli incontri furono frequenti anche per accelerare i tempi. Già al secondo mese lei era in grado di essere sola a casa e dedicarsi completamente al bimbo, si era iscritta all’università ed aveva assunto una buona sicurezza dei propri mezzi.
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