Personalità evitante. Le persone con disturbo di personalità evitante sono timide e schive. Fuggono dalle occasioni sociali perché hanno paura del rifiuto, ma in cuor loro vorrebbero tanto essere accettati.
Personalità evitante. Il comportamento dei soggetti affetti da tale patologia potrebbe farli sembrare personalità schizoidi (individui solitari) e in effetti, le differenze tra i due disturbi possono essere sottili. Entrambi i tipi prediligono la solitudine, evitano gli altri, ma sembrerebbe che il soggetto con personalità evitante sia solitario perché spinto da una forte vergogna per se stesso. Insomma, l’ansia sociale è una componente fondamentale.
La forte timidezza che li caratterizza sembrerebbe avere origini genetiche, ma indubbiamente l’evitante ha vissuto alcune esperienze che gli hanno fatto “capire” che è meglio starsene in disparte.
È possibile che genitori severi, e, al contempo timidi, lo abbiano sgridato quando ha fatto qualcosa di “vergognoso”. È anche possibile che, per predisposizione personale, egli possa essere molto sensibile alla disapprovazione fin dalla più giovane età. Un rimprovero è equiparato ad un’offesa!
L’evitante ha una bassa autostima. Pensa di non essere affascinante e dà per scontato che nessuno possa interessarsi a lui, quando egli invece ne avrebbe un immenso bisogno. La sua vita è un continuo evitamento. Scappare è l’unico modo che conosce per proteggere la poca stima di sé. Questa modalità interessa ogni ambito di vita ed è altamente limitante per quel che concerne la realizzazione personale. La sua esistenza potrebbe essere costellata di rimpianti, di cose non fatte, di rimugini.
In un articolo precedente abbiamo approfondito la patologia inerente alla personalità del soggetto evitante, ma non avevo riportato alcun caso per il semplice motivo che non mi era capitato un soggetto con questo disturbo psichico. Quindi parleremo solo del caso che ho curato e per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento può cliccare qui.
La prima visita di Marina
Marina è una ragazza di 21 anni, nubile. Vive con i genitori, entrambi cinquantenni e in buona salute e con la sorella minore in apparente buona salute e con la sorella minore (ABS), 18 anni. Ha frequentato l’Università per un anno come fuori sede, ma dopo qualche mese ha sospeso gli studi ed è rientrata a vivere nella città di origine.
Durante il secondo semestre del primo anno all’università Marina ha smesso di uscire, studiare e di andare a lezione. Per un paio di mesi ha mentito ai genitori al riguardo, continuando a raccontare una quotidianità regolare anche perché in cuor suo voleva riprendere gli studi, ma qualcosa glielo impediva.
Quando Marina ha deciso di smettere si era fissata sull’idea di non sapere cosa vuole fare della sua vita e questo stato di incertezza la pone in uno stato di ansia e stress che la portano ad avere una forte depressione. Seguendo i consigli dei genitori Marina si è presenta a studio per discutere del suo problema.
Descrizione del problema
Durante la prima visita Marina si presenta da sola e dimostra un certo imbarazzo nell’esporre la sua situazione. Il suo aspetto piacevole è però in contrasto con una certa trascuratezza (capelli in disordine, smalto alle unghie scolorito e scrostato, polsini della camicia sporchi).
La sua rigidità nella postura che ha assunto sulla sedia mostra un evidente disagio comprovato dal poco contatto visivo. Nel colloquio mostra una certa difficoltà nell’esprimersi con ricchezza di frasi, preferendo le risposte brevi (si, no, …) quasi sempre senza un commento (no, perché …, sì perché …).
Tuttavia, traspare una volontà nel voler risolvere positivamente la sua situazione.
Racconta che spesso, quando si trova con gli amici avverte una certa sudorazione che aumenta quando viene coinvolta direttamente in qualche azione. Talvolta sente aumentare il ritmo respiratorio quasi come un affanno. Terminata la situazione, a questa segue una fase di rimuginio e ruminazione e per evitare, quindi, di trovarsi in tale contesto esce il meno possibile da casa, ha abbandonato la sua attività sportiva.
Tale condizione le pone un altro problema: stando sempre a casa, pensa di dare fastidio ai suoi familiari.
Storia della vita di Marina
Le difficoltà di socializzazione sembrano avere avuto origine durante le elementari, quando l’amichetta del cuore si trasferisce con la famiglia in una città lontana. In questo periodo Marina sviluppa anche un problema di balbuzie che viene risolto parzialmente con una terapia logopedica.
Durante l’adolescenza sviluppa una passione per la pittura e per il nuoto. Ad un certo punto, dopo la maturità liceale, inizia a lamentare di avere scarsa fiducia in se stessa.
Anche nei rapporti intimi si sente a disagio perché si sente inadeguata ed attualmente non ha alcuna relazione.
Valutazione psicodiagnostica
Per poter dare una valutazione psicodiagnostica sono stati effettuati vari test dai quali sono state dedotte alcune caratteristiche che unite con altri risultati hanno identificato il disturbo psichico che affligge Marina. A seguito della procedura di valutazione psicodiagnostica, la paziente soddisfa i criteri necessari a una diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità secondo il DSM 5. La Valutazione del Funzionamento Globale (VGF) indica un quadro sintomatologico moderato.
Profilo del disturbo
La narrazione di Marina durante le sedute risulta scarsa, scarna e opaca. Sembra che sia del tutto incapace di identificare le emozioni e anzi, spesso nega di provare alcunché riportando tutto esclusivamente a somatizzazioni.
Al di là di questo, Marina riporta un dialogo interno ricco e intellettualizzato, ma in esso traspare l’unica emozione che è l’ansia. Questa risulta legata direttamente con gli eventi “andare all’università mi mette ansia, fare un esame mi mette ansia, parlare al telefono mi mette ansia etc..” e con le tendenze all’azione “voglio scomparire, voglio scappare, lascio perdere”.
Spesso Marina descrive il suo senso di estraneità dalla realtà quotidiana come un’area grigia o senza luce. Marina riconosce e racconta di questi episodi durante tutto il suo percorso scolastico e afferma che sia stato proprio questo stato mentale a crearle le difficoltà più importanti nell’adattamento alla vita universitaria.
Risoluzione del caso
La terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sulle abilità sociali ha dato ottimi risultati, applicando inizialmente una terapia di supporto. Non è stato necessario il ricorso al medico psichiatra data la collaborazione della paziente. In genere, i pazienti con disturbo evitante di personalità spesso evitano il trattamento. In questo caso Marina è stata molto brava.
I principi generali del trattamento del disturbo evitante di personalità sono simili a quelli per tutti i disturbi di personalità.
Le terapie efficaci per i pazienti con fobia sociale e disturbo evitante di personalità comprendono quanto segue:
- Terapia cognitivo-comportamentale (che ho usato) che si focalizza nell’acquisizione delle abilità sociali, dello stare in gruppo.
- Altre terapie di gruppo se il gruppo è composto da persone con le stesse difficoltà.
I pazienti con disturbo evitante di personalità traggono beneficio da terapie individuali di supporto e adattate alle ipersensibilità del paziente verso gli altri.
La psicoterapia psicodinamica (che non ho usato), si concentra sui conflitti di fondo e può essere utile.
Marina ora sta al terzo anno di università ed è anche felicemente fidanzata con un funzionario di una banca.
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