La musica ha aiutato l’andamento della terapia settimanale con M. C. una donna omosessuale di 41 anni, ricoverata per il suo secondo tentato suicidio.
La musica, quale magia contiene? Per la prima volta e con insperato successo la musica jazz ha aiutato il mio intervento terapeutico per guarire una mia paziente. Lo stato nel quale ho incontrato Mery (non è il suo nome, ma in questo racconto la chiamerò così) era di una certa gravità. Le cause che avevano portato la paziente a scelte così drastiche erano di varia natura, ma in particolare emergeva un disturbo (istrionico) di personalità di natura narcisistica.
Nell’esecuzione dei suoi tentativi autolesivi si poteva rilevare una forte volontà di attrarre l’attenzione degli altri. Mi diceva: “vorrei tanto finire la mia vita con il pubblico che assiste e un attimo prima della mia incoscienza vorrei ascoltare un fragoroso applauso e allora la mia vita non sarebbe stata vana”.
I problemi di Mary
I problemi della paziente erano iniziati quattro anni prima, quando lasciò il paese nel quale viveva per trasferirsi in città per lavoro. Il distacco dal Paese fu traumatico, principalmente per due motivi:
- lei, omosessuale, conduceva una vita abbastanza armoniosa con la sua compagna con la quale aveva una pressoché perfetta sintonia;
- il suo hobby, piuttosto bizzarro, era quello di suonare il sassofono: in particolare amava il jazz e i blues dei primi venti/trent’anni del novecento, insomma quelle musiche dell’epoca del proibizionismo americano. In passato aveva allestito diversi spettacoli musicali e teatrali sempre con riferimenti alle tematiche sociali degli anni 10/20/30 del novecento americano, mostrando una grande passione per la musica di quell’epoca.
Anche altri motivi la facevano star male, nel paese era apprezzata e benvoluta e il salto in città la poneva in uno stato di indifferenza dove non riusciva a far emergere la sua personalità e soprattutto la sua necessità di farsi notare.
L’amore finì ben presto, la sua compagna conobbe un ragazzo e si sposò facendo due gemellini. Lei aveva lasciato il suo sassofono nella cantina del casale dei suoi genitori e quello strumento gli mancava fortemente, ma in città al secondo piano di uno stabile dove in spazi angusti vivevano molte famiglie, come poteva suonare. Nel paese dove viveva, in mezzo alla campagna, poteva dare sfogo al suo estro e godeva molto nel vedere che molti del paese venivano per ascoltarla.
Da momenti felici e sereni a momenti bui e tristi, tutto questo nel giro di pochissimi mesi.
I nostri primi incontri furono molto difficili in quanto Mary mostrava una certa sfiducia nei confronti della terapia: “… cosa può risolvermi lei, se non riesco io ad uscirne fuori?”. Molto piena di sé, lei si piaceva, lei si atteggiava ed il mondo ad ammirarla.
I tentativi per risolvere la sua triste situazione
La fine del rapporto con la sua compagna la lasciò in uno stato di forte depressione, aveva pensato a trovare qualche altra compagna in città, ma non era mai soddisfatta perché sessualmente non riusciva ad essere appagata come lo era con la sua amica del paese. Arrivò anche alla masturbazione: “mi piace di più perché posso gestire il mio piacere come voglio ed avere l’orgasmo nel preciso momento che lo desidero di più, eppure tutto questo è molto triste perché quando godo, mi guardo intorno e sono sola, non c’è nessuno che mi guarda e che mi approva”.
Naturalmente ripristinare il suo rapporto con la sua ex compagna era da escludere, bisognava cercare qualche altra cosa che la potesse riportare sul palcoscenico per nuove esibizioni. Era chiaro che nel suo disturbo era evidenziato l’aspetto narcisistico ed egocentrico. Lei voleva fare le cose che le davano piacere, ma nel momento culminante del piacere voleva che tutti la guardassero, l’approvassero e l’applaudissero.
La mancanza del pubblico la fece entrare in uno stato depressivo così violento da portarla all’idea del suicidio. Due volte lo tentò, senza riuscire perché, e di questo ne sono convinta, non aveva il pubblico che la potesse osservare ed applaudire. In un qualche modo riusciva ad evitare il peggio (avvertì il vicino la prima volta e chiamò il portiere la seconda volta dicendogli che stava molto male, nascondendogli la verità).
La mia iniziativa bizzarra
Dopo alcune sedute (era trascorso già qualche mese) era necessario passare ad una fase successiva modificando la terapia, proponendole nuove azioni che rompessero quello stato di attesa senza una mèta da raggiungere. Sembrava una situazione difficile con vie d’uscita che non promettevano una soluzione definitiva e soddisfacente.
Spesso lei mi raccontava di avere momenti di serenità quando, andando a trovare i suoi poteva riprendere il suo amato sassofono, mettersi davanti ad uno specchio e guardarsi mentre suonava. Si sentiva bellissima, bravissima, unica. Poi c’erano anche gli applausi di chi la stava ascoltando.
Mi ricordai che in una scuola cattolica, vicino ad una chiesa parrocchiale presso il mio studio, spesso si celebravano dei concerti. Gli artisti venivano dalle più svariate realtà: c’erano gli autodidatti, alcuni anche bravi, poi c’erano anche alcuni che avevano studiato musica, avevano frequentato corsi ed erano stati al Conservatorio e le loro prestazioni erano di tutto rispetto.
Chiesi alla mia paziente se il sassofono lo suonava così per hobby cecando di mettere in fila qualche nota per realizzare una quasi melodia oppure riusciva a suonare mostrando una certa dimestichezza con lo strumento.
Risposta lapidaria: “io al paese, facevo concerti di jazz tutti i sabato sera e avevo sempre il pieno di gente che veniva ad ascoltarmi”.
Parlai con il parroco e gli spiegai un po’ tutta la storia e che poteva essere utile, al prossimo concerto che la parrocchia aveva in programma, poter inserire Mary per farle suonare un paio di brani. La risposta entusiasta del sacerdote mi sorprese, di solito loro sono piuttosto abitudinari e inserire delle novità nei loro programmi non è sempre una cosa gradita.
Mary nuovamente con il suo sassofono
Non fu facile convincere Mary ad andare a recuperare il suo sassofono: erano almeno due anni che non suonava più se non quando qualche domenica, quando andava a trovare i suoi genitori al paese.
Anche se la mia decisione non è del tutto professionale, mi esposi dicendole che l’avrei accompagnata al paese la domenica successiva per prendere lo strumento. Conobbi la famiglia, bella gente, schietta, forte negli animi, piacevole da frequentare.
L’interrogativo era dove poter suonare e preparare i suoi pezzi da eseguire. Ancora una volta il parroco mi lasciò sbalordito: “ma dottoressa, Mary può venire a suonare in chiesa quando vuole, … la musica, qualunque essa sia, avvicina sempre al Signore”.
E così fu!
Ero consapevole del possibile pericolo di fornire un palcoscenico ad una persona così fragile, ma ero convinta che trovare il modo di stimolare la parte artistica e creativa che era in lei l’avrebbe aiutata a comunicare meglio anche sul piano emotivo.
Andai ad ascoltarla durante le sue prove: incredibile! Suonava in modo straordinario. Lei ne era cosciente e pretendeva che la gente la seguisse e l’applaudisse perché lei sapeva di essere veramente brava, ma soprattutto bella con il suo sassofono tra le braccia.
Finalmente il concerto e la via della guarigione
Ci fu il concerto al quale partecipò anche il suo datore di lavoro ed alcuni colleghi. Successo meritato! Non abbandonò più il suo strumento che, in un qualche modo le aveva ridato la voglia di vivere perché con la sua musica sentiva il successo e l’approvazione della gente che andava ad ascoltarla e lei in quell’atmosfera si vedeva bellissima.
Gli ultimi mesi di terapia furono caratterizzati da un graduale miglioramento dell’umore e una maggiore apertura alla dimensione sociale.
Sicuramente Mary è rimasta narcisista, ma in una forma ragionata, cosciente, che comunque la faceva sentire bene. Anche rimanendo con un disturbo come il suo, ma sotto il controllo della sua mente e della sua coscienza, la vita può essere vissuta felicemente. Si può anche parlare di guarigione. Lei c’è riuscita!
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