In un mio precedente articolo ho parlato del fatto che alcuni ricercatori hanno trovato un nuovo materiale inquinante, il plastitar. Purtroppo la questione si complica maggiormente.
Va sottolineato che i ricercatori Hernández-Borges e i suoi colleghi stavano cercando particelle di un millimetro, il che significa che al rilevamento sono sfuggiti moltissimi frammenti più piccoli.
Con i progressi nella scienza delle microplastiche, i ricercatori hanno iniziato a cercare anche le nanoplastiche, particelle di dimensioni inferiori a un milionesimo di metro. Per dare un’idea, un carico in lavatrice può disperdere in mare migliaia di miliardi di nanoplastiche.
Se da una parte sappiamo da dove provengono le plastiche, l’origine della particolare forma di catrame trovata sulle spiagge delle Canarie non era altrettanto chiara.
In generale, ogni volta che si veridica una fuoriuscita, il petrolio galleggia ed evapora parzialmente, addensandosi nel tempo in palline di catrame che poi vengono trasportate a riva: una sorta di pongo tossico, che si attacca alla roccia.
L’onda porta poi con sé microplastiche o altri rifiuti e li spinge in questa specie di pongo – spiega Hernández-Borges –. Le microplastiche arrivano costantemente. Quelle che troviamo nel catrame sono le stesse che troviamo sulla costa.
Questi frammenti aumentano la nocività del plastitar, dal momento che la plastica contiene migliaia di sostanze chimiche, che in molti casi sappiamo essere tossiche per esseri umani e animali.
Impatto sconosciuto del materiale inquinante.
I ricercatori non sono ancora in grado di stabilire quale effetto la nuova sostanza potrebbe avere sugli organismi che vivono sulle spiagge delle Canarie. Ma il problema potrebbe essere duplice:
“Se ci fossero alghe o altro, queste rocce ne sarebbero completamente ricoperte, quindi morirebbero di
sicuro”,
racconta Hernández-Borges.
In secondo luogo, aggiunge, essendo più scuro rispetto alla roccia, il plastitar assorbe anche una maggiore quantità di energia solare:
“Toccandola, vedrete che è anche davvero molto, molto calda”
Questo significa che le temperature a livello del suolo potrebbe aumentare sensibilmente, con ripercussioni sconosciute per gli organismi che vivono nella zona.
In uno studio precedente condotto su un’isola del Pacifico, un altro gruppo di ricercatori ha scoperto che le particelle di plastica aumentano la temperatura della sabbia sulle spiagge, mettendo otenzialmente
in pericolo le tartarughe marine, il cui sesso è determinato dalla temperatura della sabbia in cui vengono deposte le uova: se la sabbia si surriscalda troppo, nasceranno solo femmine, il che ovviamente non è una buona notizia per la riproduzione di una specie.
Il problema delle nuove formazioni plastiche.
La scoperta del plastitar aggiunge un ulteriore livello di complessità al problema dell’inquinamento plastico degli oceani. Per molto tempo, gli ambientalisti si sono preoccupati soprattutto dei fenomeni più grandi, come le bottiglie e i sacchetti in mare. Gli scienziati hanno iniziato a studiare seriamente le microplastiche solo all’inizio degli anni 2000, scoprendo che quasi tutto il pianeta ne è contaminato.
Le particelle viaggiano nell’atmosfera e raggiungono le montagne più alte.
Nei cieli, potrebbero avere un effetto sul clima, anche se non è chiaro se alla fine contribuiranno a riscaldare o raffreddare il pianeta.
Le persone mangiano e bevono un sacco di microplastiche e i bambini ne ingeriscono quantità ancora maggiori nel loro latte artificiale, mentre gli scienziati hanno appena iniziato a indagare i possibili effetti sulla salute umana.
Ancora più recentemente, i ricercatori hanno scoperto “nuove formazioni plastiche”, materiale inquinante vario, di cui il plastitar rappresenta solo l’ultimo esempio.
Quando brucia nei falò che vengono accesi sulle spiagge, per esempio, la plastica forma una matrice di polimeri mescolati con sabbia e altri detriti.
Il plasticrust si forma in modo simile al plastitar, con le onde che schiacciano la plastica contro le rocce sulle coste, con l’unica differenza che in questo caso non è coinvolto il catrame.
Gli scienziati, poi, stanno iniziando a studiare quella che chiamano antropoquina, una nuova roccia sedimentaria composta da plastica e altri materiali prodotti dall’uomo.
“Se qualcuno tra migliaia di anni troverà una di queste rocce, probabilmente troverà anche della plastica e
sarà in grado di vedere come abbiamo vissuto – dice Hernández-Borges –; quindi rappresenta una sorta
di documentazione geologica”.
Corriamo ai ripari! Come?
Intanto, tutti iniziamo a consumare meno plastica possibile, usiamo il vetro o altri recipienti dove la plastica non compaia. Buste della spesa di stoffa o riciclabili.
Seguitemi… nei prossimi articoli sull’ecologia parleremo ancora dei vari problemi e dei rimedi che possiamo impiegare per opporci al dilagare di queste forme di inquinamento.
di Stefano Dottori