Marte, il pianeta rosso che tanto ha coinvolto la nostra fantasia, tra scienza e fantascienza, oggi molto più vicino ad essere visitato dall’uomo, è entrato ormai nel pieno interesse della scienza.

Marte, il dio romano della guerra, dovuto al suo colore rosso che ricorda il sangue versato e il coraggio dimostrato in battaglia, già presente in altre culture ha dato il nome al pianeta che si distingue dagli altri per il suo colore rossastro.

Questo pianeta, indubbiamente, è stato, ed è ancora, argomento di vivo interesse nel mondo scientifico e tecnologico. Trovandosi come Venere vicino alla Terra ed essendo dotato come essa di un’atmosfera, il pianeta è stato uno dei primi luoghi dove cercare la presenza di vita.

Anche oggi, numerosi esperimenti lo candidano come un possibile luogo in cui possono essersi sviluppati, e forse anche estinti, dei microrganismi.

I primi studi

La sua atmosfera sottile era stata scoperta la prima volta da Herschel nel 1784, e poi confermata successivamente. Lo scienziato notò che la luminosità delle stelle non risentiva della vicinanza apparente del pianeta.

Lo studio diretto del pianeta Marte inizia verso il 1883. Da una cupoletta dell’Osservatorio di Brera, l’astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910) scopre al telescopio zone di colore verdastro. Subito esse vennero associate alla presenza di vegetazione. Inoltre, fu anche osservata la presenza di linee sottili e diritte, che chiamò canali.

Egli nota che il colore delle zone scure e la posizione dei canali variano nel corso dei mesi.

Schiaparelli non si pronuncia sull’origine di questi canali, ma altri astronomi come Flammarion successivamente avanzano l’ipotesi che essi siano opera di una qualche civiltà.

Anche il direttore dell’Osservatorio di Harvard, l’astronomo Edward Pickering (1846-1919), uno dei padri della spettroscopia stellare, sostiene per alcuni anni la presenza di canali. Inoltre, vede oasi circolari nelle zone di congiunzione tra essi.

Nascono, però, alcune voci contrarie: l’astronomo Edward Barnard (1857-1913) calcola la temperatura superficiale di Marte. Le sue conclusioni furono che è troppo freddo (–35 °C) per ospitare la vita. Tuttavia queste affermazioni rimasero per lo più ignorate.

L’astronomo statunitense Percival Lowell (1855-1916), uomo abbastanza ricco da farsi costruire un osservatorio astronomico privato a Flagstaff, in Arizona, riprende le osservazioni di Schiaparelli sostenendo con certezza la presenza di canali, che egli denomina canals anziché channels.

Nota linguistica – In inglese, la parola canal indica una via d’acqua artificiale creata per la navigazione, mentre la parola channel indica un percorso naturale quale quello creato da un flusso d’acqua o un passaggio tra due luoghi.

Dalla scienza alla fantascienza

L’idea errata che su Marte esistano dei canals si diffonde anche nel pubblico non colto. Questo induce a pensare all’esistenza di abitanti in grado di costruire vie di comunicazione e modificarle nel tempo.

Intorno al 1911, lo scrittore Rice Burroughs, il creatore di Tarzan, inizia una serie di romanzi che vedono come protagonista John Carter, un uomo che si trova sbalzato dal suo mondo ed atterra su Marte.

Qui trova una popolazione di uomini versi, di cui diventa uno dei capi, in combattimento con una più primitiva popolazione di uomini rossi. Probabilmente dobbiamo a questi romanzi la definizione dei marziani come omini verdi che si trova spesso nei giornali e che è diventata ormai un modo di dire per denominare gli extraterrestri antropomorfi. Così il mito del marziano comincia a diffondersi.

Anche Guglielmo Marconi si interessa alla questione e scopre segnali radio ad una frequenza di circa 2 megahertz (MHz). Nel 1922, quando Marte è nella posizione più vicina alla Terra, durante una traversata atlantica cerca senza successo di captare segnali provenienti dal pianeta.

Entriamo nella scienza attuale

In realtà i canali di Marte erano solo un’illusione ottica dovuta alla morfologia superficiale del pianeta, nascosta talvolta dalle nuvole o dalle tempeste di sabbia. Occorreranno parecchi anni perché i nuovi telescopi di maggiore risoluzione permettano di sfatare questa illusione, mostrando l’assenza di linee diritte su Marte.

Finalmente, negli anni ’60 del ventesimo secolo, le sonde spaziali Mariner romperanno definitivamente questo mito. Esse hanno mostrato un mondo fatto di vulcani spenti e grandi deserti. Qui la temperatura può abbassarsi fino a far congelare (–78,5 °C) l’anidride carbonica (biossido di carbonio) (CO2) .

Allo stesso modo le sonde sovietiche/russe inviate su Venere lo mostrano simile ad una caldaia a 470 °C, coperta di nuvole di gas vulcanici e flagellata da una pioggerellina di acido solforico (H2SO4)

Tuttavia, ancora oggi Marte resta il luogo più simile alla Terra per composizione chimica e temperatura tra quelli che conosciamo nel sistema solare.

Questo pianeta è stato – e lo è ancora – al centro di esperimenti biologici ed anche da alcuni meteoriti e rilevamenti geologici siamo portati a supporre l’esistenza di oceani d’acqua e di forme di vita ormai scomparse.

Le recentissime scoperte marziane: i segni di vita su Marte

Le scoperte compiute dai rover della NASA somigliano in modo strabiliante a segni di vita aliena, ma non dobbiamo farci prendere dall’entusiasmo. Quante volte nella ricerca scientifica si credeva di aver compiuto una scoperta straordinaria e poi ci accorgiamo che quei risultati sono fallaci e non abbiamo scoperto nulla se non il fatto di aver sbagliato tutto o quasi.

Numerose osservazioni recenti effettuate dai rover sul pianeta rosso potrebbero portare la firma di alcuni batteri. Questa sarebbe una possibile indicazione del fatto che la Terra non sia l’unico rifugio della vita nel sistema solare.

Vediamo i segnali più significativi:

  • il rover della NASA Curiosity ha osservato una miscela di isotopi di carbonio nelle rocce del cratere Gale che, se riscontrati sulla Terra, sarebbero segni di vita;
  • il rover ha registrato picchi sia casuali che stagionali di metano, un gas che sulla Terra viene prodotto prevalentemente da attività di tipo biologico;
  • a circa 3.700 km di distanza, nel cratere Jezero, il rover della NASA Perseverance ha riscontrato strani strati di colore viola che rivestivano le rocce alla base del cratere. Questa patina è diffusa e assomiglia alla cosiddetta vernice del deserto che sulla Terra cresce in presenza di microrganismi.

Per il momento, tuttavia, gli scienziati non sono pronti ad affermare che il nostro vicino color rossastro una volta fosse abitato. Quasi tutti gli indizi affascinanti che rimandano alla biologia possono essere spiegati anche con alcuni aspetti finora poco noti della geologia o della chimica marziana.

Si tratta di un pianeta alieno, che può quindi presentare aspetti che magari non immaginiamo nemmeno”, spiega Abigail Fraeman del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Verso il futuro

Una nuova era delle esplorazioni di Marte è iniziata nel 2012, quando il rover a sei ruote Curiosity della NASA è atterrato nel cratere Gale. Oggi, quell’avvallamento largo oltre 150 chilometri ospita una grande montagna composta da molti strati di sedimenti che custodiscono tracce del passato di Marte. L’obiettivo primario di Curiosity è cercare segni di una passata vivibilità, come acqua, composti organici e una fonte di energia, ovvero gli ingredienti necessari per la vita così come la conosciamo.

Trovare prove della presenza di acqua è stato facile, dopotutto gli scienziati sospettavano già che il cratere un tempo ospitasse un profondo lago. Curiosity ha identificato quasi subito uno strato di rocce che possono formarsi solo in presenza di acqua.

Secondo gli scienziati, il prossimo passo per confermare la presenza di vita su Marte è riportare campioni del pianeta da analizzare nei laboratori terrestri, dove sono disponibili gli strumenti più all’avanguardia per cercare risposte a una delle più antiche domande dell’umanità.

Il rover Perseverance è già impegnato a raccogliere la prima serie di campioni, che potrebbero contenere prove del fatto che miliardi di anni fa il cratere Jezero fosse abitato da microrganismi.

Indipendentemente dalla risposta, quel materiale ci racconterà qualcosa di fondamentale sulle origini della vita sul nostro stesso pianeta.

La storia antica dei due pianeti è simile sotto molti aspetti, ed è molto affascinante che nel corso dell’evoluzione i due mondi abbiano intrapreso percorsi così diversi”, spiega l’esperta di astrobiologia Amy Williams dell’Università della Florida.

Finora le immagini dall’orbita e gli esperimenti condotti dai lander Viking della NASA sulla superficie del pianeta hanno reso evidente il fatto che Marte, per quel momento, non era un pianeta traboccante di forme di vita facilmente individuabili. “Questa constatazione ha portato a una lunga interruzione delle ricerche su Marte”, aggiunge Steele.

Conclusioni

Al momento, per dare una risposta definitiva in merito alla presenza di vita su Marte è necessario riportare i suoi frammenti sulla Terra, dove gli scienziati possono usare gli strumenti più all’avanguardia per analizzarli. Uno dei compiti primari di Perseverance è identificare e raccogliere campioni di rocce, in attesa che una navicella in futuro li riporti a casa.

I campioni che stiamo raccogliendo vengono accuratamente selezionati …”, spiega Fraeman. “… ne conosciamo il contesto di provenienza per cui saranno essenziali per trovare una risposta a queste domande”.

Marte è un altro mondo, un luogo con una chimica e paesaggi esotici che, anche se appaiono vagamente familiari, ci sono comunque estranei.

Più e più volte Marte ha dimostrato di non essere la Terra. Non è una Terra antica congelata nel tempo”, conclude Williams. “È un pianeta a sé, in continua evoluzione, e alcuni dei processi che vi hanno luogo sono in parte simili a quelli della Terra, mentre altri sono nettamente diversi”.

Bibliografia

Giuseppe Galletta, Valentina Sergi – Astrobiologia: le frontiere della vita – Hoepli, Milano 2009

National Geographic, 2023