spiritualità

Pillole di storia della Chiesa: la spiritualità dei martiri

Il filone della spiritualità patristica, ovvero della dottrina dei Padri della
Chiesa, ci offre degli ottimi spunti di riflessione sul tema della santità, in
quanto ci permette di approfondire quella dimensione interiore legata alla
vocazione e allo stesso tempo ci dà occasione di studiare da fonti autorevoli
come materialmente essi applicavano le loro convinzioni nel loro percorso
vocazionale e nella loro vita reale.

Ad esempio, alcune fonti attendibili come la Didachè, i Frammenti di Papia e la Lettera a Diogneto, che sono opere di quel tempo, sono talmente pregne di una spiritualità vera incredibilmente semplice, pura e disarmante che anche al giorno d’oggi ci riempiono il cuore di meraviglia per via della loro intensità.

Come abbiamo visto, l’idea base dalla quale tutti iniziavano il loro percorso
spirituale era certamente la Sequela Christi, ovvero il seguire la vita di Cristo,
imitare il suo modo di vivere attraverso i suoi insegnamenti e la sua Parola.
Paolo nella prima lettera ai Corinzi (4, 15-16) suggerisce alcuni obiettivi in
modalità parenetica, ovvero in chiave esortativa, spronando i fedeli alla
imitazione: «Potreste infatti avere diecimila pedagoghi in Cristo, ma non
certo molti padri, perché io vi ho generato in Cristo Gesù mediante il
Vangelo. Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!»
Inizialmente la tradizione ci parla di alcuni individui che hanno a che fare con Cristo, con la sua vita e con i suoi insegnamenti, la parola martire in greco significa “testimone”. Testimoni della fede che a partire dai primi successori degli apostoli, hanno trasmesso con fedeltà e passione ogni possibile frammento di sapienza utile a comprendere, o per lo meno ad accettare come veri, i misteri della Chiesa.

L’esortazione di Paolo diede i suoi frutti e a seguire questo consiglio i primi fra tutti furono i martiri che con la loro spiritualità, offrivano la loro vita, in modo da essere più simili possibile al Cristo Crocifisso.

In quest’ottica, la morte fisica assumeva un carattere
cristico, che metteva in luce la relazione speciale che essi avevano con il
Signore: essi erano alla ricerca della conformazione totale con lui, non
disprezzando la vita, ma offrendola in dono.
Dai documenti che possiamo consultare, ad esempio gli Atti dei Martiri, cioè i
verbali ed interrogatori che venivano compilati nell’occasione dei loro
processi (es. Perpetua, Policarpo, ecc.), notiamo come la loro determinazione,
il loro credo e la loro convinzione li conduceva fieramente al martirio senza
alcuna esitazione. Essere il più possibile simile a Cristo, non solo nella morte
fisica, nella sua sofferenza e nella sua passione, ma anche nella vita di tutti i
giorni, nella quale tentavano di imitarlo, seguendo la sua Parola, impostandola
sull’amore per il prossimo, sulla carità, sulla povertà e sulla castità, ma anche
sulla mancanza di eccessi, di cibo, di beni superflui, tutto questo per
avvicinarsi il più possibile all’esempio per eccellenza. La morte fisica in vista
di una resurrezione santificante permetteva di raggiungere l’evento
escatologico e dunque morire per Cristo permetteva di essere considerati a
tutti gli effetti, suoi discepoli.

La spiritualità dei martiri ci riporta alla vita dei Padri Apostolici ovvero a quelli che hanno vissuto con gli apostoli, e seppur non hanno conosciuto direttamente Gesù, hanno vissuto accanto a chi ha fatto una diretta esperienza di vita con lui: Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Barnaba, Pastore di Erma essi hanno vissuto nell’epoca apostolica, hanno ascoltato i racconti dei testimoni oculari e sono i primi che ne riportano le testimonianze, allo stesso tempo essi hanno vissuto le persecuzioni romane, ecco perché la loro spiritualità è legata al martirio.
Le fonti alle quali possiamo risalire attraverso alcuni testi e frammenti di
lettere e di esortazioni al martirio, ci riportano i crudi fatti legati al culto della
religione cristiana, i romani infatti tolleravano la religione ebraica ma
rifiutavano quella cristiana, perché il culto al Cristo era considerato una
superstizione balorda e smodata, opera di pazzi e scriteriati. Inoltre, il popolo
cristiano si rifiutava di fare offerte agli dèi romani, per questo i fedeli di
Cristo venivano considerati dei pericolosi fuorilegge, imprigionati e torturati a
meno che non rinnegassero la loro fede pubblicamente e bruciassero le Sacre
Scritture davanti a tutti, oltre a maledire ufficialmente ad alta voce il
nome di Cristo.

Ci rimangono alcuni diari come quello del martirio a Cartagine di Felicita e Perpetua, la quale descrive i sentimenti e le considerazioni personali nel momento della prigionia. Sono stati gelosamente conservati negli archivi della Chiesa alcuni documenti ufficiali di archivio come quello del processo a Giustino che risale al 165 d.C.
Dalla spiritualità dei martiri che nei primi secoli donarono le loro vite pur di
difendere e diffondere il culto cristiano, apprendiamo con quale impeto e forte
fede, i credenti affrontavano le persecuzioni senza alcun timore.
Alcuni scritti in forma letterale, forse tendenti troppo alla forma romanzata, ci
descrivono, ad esempio, il martirio di S. Cecilia e S Agnese, ma
allontanandosi leggermente dalla realtà vanno presi in considerazione come
dei bei pezzi di letteratura sacra perché non è possibile giurare che siano
realmente accaduti così come descritti. Abbiamo fortunatamente una ricca
letteratura che riguarda i primi martiri cristiani, sono delle belle descrizioni
della loro vita e della loro morte che comunque, anche se romanzate, ci
permettono di conoscere le loro storie e soprattutto i tremendi particolari di
come furono martirizzati.
Custodite con cura, ci sono rimaste alcune iscrizioni che troviamo incise o dipinte sui muri, l’iconografia è ricca e varia, mosaici, sculture, incisioni e dipinti la maggior parte dei quali sono conservati all’interno dei “Martyrium”, ovvero delle tipiche costruzioni dell’arte bizantina eretti sulla tomba oppure sul luogo dove era erano stati martirizzati ed erano morti.

Questi spazi dedicati al culto dei martiri divenivano automaticamente poi delle chiese o
basiliche martiriali, perché custodivano solennemente i loro resti, celebrando
quotidianamente la loro memoria e accogliendo i numerosi fedeli in
pellegrinaggio che volevano pregare sulle reliquie dei santi martiri conservati
al loro interno.

Offrire la propria vita, soffrire tormenti sopportando pene atroci e torture, fornendo in dono la propria esistenza e considerando possibile, anzi, benvenuta, una morte che imitava quella di Cristo sulla croce,
era l’occasione per dare prova di grande fedeltà e di grande santità, tanto che automaticamente questi martiri venivano considerati immediatamente e ufficialmente santi.