Il nome sindrome di Alice fa chiaro riferimento alla famosissima opera letteraria di Lewis Carroll, “Alice’s Adventure in Wonderland”. Da questa Walt Disney ne ricavò un celebre cartone animato.

La sindrome di Alice nel paese delle meraviglie racchiude tutta una serie di sintomi associati all’emicrania e all’epilessia. Esistono però anche ad altri fattori che provocano delle distorsioni percettive sia visive che temporali. Da questo il paragone con Alice che crede di diventare una gigante oppure piccolissima.

Le persone che soffrono di questo disturbo, in effetti, si vedono più basse oppure più alte ed hanno l’impressione che le parti del proprio corpo o degli oggetti circostanti cambino dimensioni e forme.

Questa sindrome venne descritta per la prima volta da Caro Lippmann nel 1952. Fu però lo psichiatra inglese John Todd il primo a studiarla, a partire dal 1955. Il suo contributo ha dato il nome alla patologia in questione: “sindrome di Todd” detta, appunto, anche sindrome di alice nel paese delle meraviglie..

Le origini del nome

Curioso è quanto venne ritrovato nei vecchi diari personali di Lewis Carroll, autore del romanzo da cui tale sindrome prende la sua denominazione principale. In questi quadernoi egli descrisse le sue fortissime emicranie accompagnate da ricorrenti allucinazioni visive. È infatti probabile che queste esperienze patologiche lo abbiano influenzato nella stesura del suo romanzo “Alice nel paese delle meraviglie”. Questo fu scritto più di cinquanta anni prima rispetto agli studi di Todd. Carroll afflitto da questo disturbo provò a narrarlo e fino a quel momento era completamente sconosciuto.

Caratteristiche cliniche

Esattamente come descritto nel romanzo, tale sindrome tende a presentarsi nei bambini con età media di otto anni. Questa è caratterizzata da un disturbo neurologico che si manifesta con una percezione distorta della grandezza di oggetti o parti del corpo.

I sintomi

A livello sintomatologico i pazienti riscontrano difficoltà nel percepire gli oggetti. Questi potrebbero apparire più vicini o più distanti. Inoltre, i pazienti potrebbero avere difficoltà nel riconoscere i volti che vedrebbero alterati rispetto alla normalità. In alcuni casi, potrebbero manifestarsi anche casi di depersonalizzazione e di derealizzazione.

Per quanto riguarda la fisiopatologia di questa sindrome, sembra siano coinvolte aree della corteccia cerebrale. Queste, subendo un’ipereccitazione al di sopra dei livelli normali, produrrebbero alterate percezioni sensoriali.

La sintomatologia allucinatoria è da ricondursi appunto a questa alterata trasmissione del segnale nelle diverse aree corticali.

Il meccanismo con il quale si instaura questa malattia ricorda quella dell’epilessia. Infatti, è molto comune trovare nell’anamnesi di questi pazienti la presenza di crisi comiziali.

Le cause della patologia non sono ancora del tutto note anche se studi recenti l’hanno associata alla presenza di un ridotto flusso di sangue nelle aree cerebrali deputate alla percezione sensoriale.

Il caso

L’unico caso capitatomi e che, tra l’altro, si è risolto in modo imprevisto è stato quello di una bambina di quarta elementare. Questa accusava saltuariamente tali disturbi che potevano durare alcuni minuti. Lei, quando aveva questi momenti di difficoltà si sdraiava sempre e alternava l’apertura e la chiusura degli occhi finché questo attacco non passava. Il tempo della durata di questo attacco era sempre nell’ordine di mezz’ora, raramente di più, ma di poco.

La bambina mi fu portata a metà ottobre, non sembrava una situazione grave e decidemmo, assieme ai genitori, di provare la via della psicoterapia e ricorrere eventualmente allo psichiatra per eventuali farmaci se la situazione si fosse complicata. L’unica cosa che non andava era una particolare anemia, anche se molto leggera.

Fu il trattamento più breve della mia carriera di psicoterapeuta.

A gennaio (due mesi e mezzo dopo la sua prima visita) l’adolescente iniziò un corso extrascolastico di danza nella quale eccelleva anche perché favorita da un corpo longilineo e agile. I nostri incontri erano fissati una volta alla settimana. Già dai primi di febbraio la bambina non aveva più sintomi, né ricadute, non aveva più i minimi sintomi che aveva lamentato. L’anemia era totalmente scomparsa.

Ci furono altre due visite in tempi successivi, ma la fanciulla era in ottimo stato mentale e non accusava più disturbi di quel tipo, anzi quando se ne parlava ci rideva sopra.

Fu un caso che portai a conoscenza della mia équipe perché ebbi la convinzione che la danza, il movimento, erano fattori che, in qualche modo, avevano riattivato una circolazione sanguigna ottimale che aveva regolarizzato un flusso regolare ai vari organi, corteccia cerebrale compresa.

Non abbiamo avuto la possibilità di verificare questa ipotesi, ma certamente i risultati ottenuti vanno a rinforzare quanto gli studi recenti hanno supposto.

La paura della diagnosi

Essendo una sindrome non registrata nei manuali nosografici e con una sintomatologia caratterizzata da allucinazioni e distorsioni della realtà, spesso viene erroneamente confusa con la psicosi. Ciò porta chi ne soffre ad essere molto restio nel chiedere aiuto, in quanto preoccupato di essere definito erroneamente psicotico e subire un trattamento terapeutico non conforme alle proprie esigenze. Inoltre, a differenza della psicosi, dove il paziente crede di vivere le allucinazioni come qualcosa di reale, in questa sindrome il paziente ha piena consapevolezza di quello che gli succede e i sintomi risultano temporanei e mai duraturi.

La normalizzazione del disturbo

Proprio perché la maggior parte dei pazienti affetti ha in media l’età di otto anni, è importante non sbagliare diagnosi e cercare di ascoltare il/la bambino/a sulla esposizione dei propri sintomi.

C’è un gran bisogno di “normalizzare” e conoscere questo tipo di sindrome, perché la remissione avviene nella maggioranza dei casi verso l’età adolescenziale e non sempre è necessario un trattamento farmacologico. È una sindrome indubbiamente rara e poco conosciuta, ma è basilare sensibilizzare la comunità scientifica verso questo tipo di diagnosi, in quanto uno sbaglio diagnostico potrebbe modificare irreversibilmente la regolare crescita del paziente.

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