Lo scopo
La Poesia. Si scrive poesia perché venga letta? È questo lo scopo primario? A volte. Non sempre.
Il primo lettore ovviamente è la poetessa, il poeta, chi crea i versi. Quando si scrive per essere letti da altri magari cadi in tentazione. Tradisci in parte il genio, tornisci l’atmosfera, la rendi attenuata, smussi i termini, togli i sassi dal fondo. Forse così rendi meno autentica l’immagine portentosa da cui scaturiscono l’elegia e l’impeto, la sofferenza o la gioia… Forse.
Ma a riequilibrare “le parti del tutto” c’è il lettore. Chi legge rappresenta la platea, virtuale o reale che sia, lo spazio aperto che rende possibile evocare in ciascuno, in molti, se non in tutti, un pensiero, un ricordo, un richiamo alla vita reale e psichica. Un odore, un suono, un colore, un’allitterazione, un ritmo nelle parole ci trasportano altrove e, come abbiamo già detto in un articolo precedente, trasfigurano un significato e lo fondono con un altro. Una metafora, un’espressione figurata, diventano una figura mentale che è simbolo, segno, traccia di un’impronta sedimentata nel ricordo, nella memoria, quindi nel nostro essere mente e corpo.
La ricerca comune
Chi crea poesia lavora e scava in sé traducendo pensieri in parole e termini più o meno universali. Lavora su idee e parole per esprimersi.
In entrambi, lettore e scrittore, c’è la ricerca di un significato, la cui scoperta è per entrambi fonte di piacevole elaborazione intellettuale
Ma anche il lettore “lavora” elaborando quel che legge mentre lo legge. A volte inconsapevolmente finché, anche a distanza di tempo, qualcosa riaffiora nei suoi modi di dire, di leggere la realtà e i propri pensieri.
In entrambi, lettore e scrittore, c’è la ricerca di un significato, la cui scoperta è per entrambi fonte di piacevole elaborazione intellettuale. Per questo chi legge, e non parlo solamente di poesia, ha a cuore la funzione intellettuale della mente, senza nulla togliere al piacere del mangiar bene e del fare movimento e sport, altrettanto indispensabili nell’aver cura di sé.
Ci salutiamo con alcuni versi di Amelia Rosselli tratti dalla sua silloge “Variazioni belliche” pubblicata nel 1964.
o mio fiato che corri lungo le sponde
Amelia Rosselli
dove l’infinito mare congiunge braccio di terra
a concava marina, guarda la triste penisola
anelare: guarda il moto del cuore
farsi tufo, e le pietre spuntate
sfinirsi
al flutto.”
Foto di copertina dell’IA Dall-e di Bing. Foto dell’articolo di Pasquale Colosimo