kamila

Kamila è una sarta di Kabul. E’ la sua storia di coraggio e resilienza.

Il libro è una finestra aperta sul mondo femminile, una esaltazione della forza della donna, della speranza in tutti i sensi, una lotta contro un sistema sociale ‘retrocesso’ di più di 20 anni.
Con l’arrivo delle truppe talebane, oserei dire barbariche, vediamo come la figura femminile si riveste con il burka, nasconde i connotati femminili, si maschera alla vista del conquistatore e dei conoscenti, anzi di tutti i soggetti maschili.


Spariscono in un attimo tutti i benefici conquistati fino a quel momento!


La donna che lavorava, curava gli ammalati, insegnava nelle scuole, nelle università, una donna fonte di sopravvivenza per le famiglie, in un attimo scompare…
I capi famiglia ora fuggono oltre i confini per non essere imprigionati. Scappano perché in opposizione al sistema o rifiutano l’affiliazione all’esercito talebano.

Le famiglie si sguarniscono dei punti di riferimento: lasciano vedove, figli, adolescenti abbandonati a se stessi, tutti senza alcun mezzo di sostentamento.
Le sorelle più grandi, ove presenti, cercavano di trovare il pane per sfamare quelle bocche e far fronte alle necessità primarie, ma tutto scarseggia.
Neppure pensare di uscire dal proprio quartiere per cercare aiuto da sole: non è permesso se non in compagnia di una figura maschile, garante di fronte ai militari.
Kamila ha solo un fratellino di 9 anni che la accompagna, è lui il suo garante.


Di necessità virtù!

E’ questa la chiave di svolta che porterà Kamila a divenire una imprenditrice, laddove l’imprenditoria è stata schiacciata dall’abuso.
Cucire un vestito per poi venderlo, portarlo nel negozio di abbigliamento sfuggendo ai controlli talebani, ricevere addirittura un ordine di più vestiti, significava andare avanti.
Le richieste delle vicine, delle amiche, delle parenti si facevano sempre più pressanti… ma loro avevano bisogno di lavorare, hanno bisogno di nascondere quel lavoro dal nemico.
La casa di Kamila diventa un laboratorio di sartoria: dal mattino alla notte si continua a lavorare, a produrre vestiari.
E la voce si sparge… quel laboratorio domestico è diventato l’emblema della libertà ma soprattutto è diventato la forza imprenditoriale che spinge tutte quelle giovani a lottare per riconquistare i propri diritti e il lavoro.
Kamila ne è l’emblema.
Seppur giovanissima è riuscita ad abbattere le barriere quasi invalicabili di un regime troglodita.
Il suo laboratorio è diventato un luogo conosciuto addirittura presso le ONG.
Le Organizzazioni internazionali vedono in questa piccola figura femminile la rivendicazione della libertà e soprattutto del pianeta donna. Si può andare avanti, si deve andare avanti se si vuole riconquistare ciò che sembrava perduto. E così è successo! Kamila e le sue compagne vedono finalmente scappare i talebani e soprattutto vedono riaprirsi i confini della libertà.


Kamila non può farcela da sola, aveva cercato aiuto nella sorella maggiore più esperta di lei nel cucire. Sua sorella conscia dei pericoli ai quali andava incontro ha cercato di dissuadere Kamila ma la testardaggine della piccola sarta non ha limiti. Non può chiudere la porta a chi bussa… deve poter guadagnare qualche cosa per sfamare i propri figli e fratelli.
Una, due, tre amiche a cui lei stessa insegnerà i primi punti le saranno di aiuto nel suo progetto.
I rischi sono tanti, essere sorprese dentro casa a lavorare, consegnare gli ordini. L’attività è febbrile, poi aumentano gli ordini, aumentano le “alunne sarte”

…in silenzio dopo la preghiera, si continua a lavorare…


recensione di Michela M.