L’ingordigia è un vizio capitale, come quello dell’invidia, visto in un precedente articolo, che è associato a diverse patologie psichiche che si manifestano in modo alternativo, ma come continuazione di un percorso psicologico malato.
L’ingordigia, irresistibile peccato che specialmente in alcune occasioni (Natale, Pasqua, …) riesce a dominarci e che difficilmente riusciamo a superare vittoriosamente.
Il problema della gola (o ingordigia) può intendersi in diversi modi, secondo il contesto:
- “Non parlare finché si mangia”: qui si racchiude la volontà di dare all’alimentazione un maggiore valore rispetto a quello legato al pensiero che si esprime mediante il linguaggio;
- “Non si parla con il boccone in bocca”: contrariamente alla frase precedente, questa affermazione esprime una svalutazione dell’atto del cibarsi nei confronti del pensiero-linguaggio che deve essere puro e non deve essere compromesso dalla volgarità del cibo.
- “Parla come mangi”: visto come monito-rimprovero o anche come consiglio; qui si mette in risalto una maggiore genuinità dell’atto del cibarsi rispetto all’atto del parlare artefatto ed elaborato;
- “Essere presi per la gola”: questa è la frase che evidenzia la debolezza psicologica del soggetto che sta combattendo la sua inquietudine interiore del sì o no.
Il troppo, l’eccesso portano al peccato di gola (ingordigia) a causa di una volontà debole e non capace di razionalizzare la situazione pericolosa per la propria salute.
La sindrome del piatto vuoto
Il rischio di cadere nella cosiddetta “sindrome del piatto vuoto”, (irrefrenabile e ingorda voglia di mangiare fino all’ultima briciola visibile nel piatto), perdura almeno dal cenone di Natale fino all’Epifania.
Il rischio è sulla tavola. Fino all’Epifania, cotechini, zampone e lenticchie, dolcetti, torroncini, cioccolato e carbone bianco o nero sono protagonisti assoluti delle nostre tavole.
I cibi che prendono di più per la gola. Non tutti gli alimenti delle feste o di consumo comune “acchiappano” però in uguale misura inducendoci in tentazione. I più “golosi”, quelli che spingono a farsi mangiare, sono l’ultimo dolcetto, l’ultimo pezzetto di cioccolato, fino alla fetta di torta.
Non è una ipotesi, ma una tesi. I ricercatori hanno dimostrato che una singola porzione di cibo lasciata sul piatto esercita un desiderio maggiore rispetto a una tavola imbandita, soprattutto se si parla di alimenti “tentatori”.
Le strategie anti-sindrome. Esistono delle strategie da mettere in atto, suggerite dagli esperti americani di diverse istituzioni, per resistere alla alla “sindrome del piatto vuoto”.
- Soluzione 1: gli esperti della University of Texas Southwestern Medical Center consigliano di prediligere e portare in tavola cibi a minor contenuto di grassi, zuccheri aggiunti e sale, (varietà di frutta e verdura).
- Soluzione 2: dalla Washington University di Saint Louis si suggerisce invece di mangiare lentamente. Masticare a lungo aiuta a sentirsi sazi.
- Soluzione 3: iniziare il pasto con porzioni più piccole.
- Soluzione 4: a detta degli esperti è quella più efficace e invita a riflettere sulla propria azione proprio mentre si è in procinto di allungare la mano verso quell’ultimo pezzettino.
Le persone che hanno questo disturbo riferiscono che nel momento dell’abbuffata non riescono ad avere nessun controllo sul proprio comportamento alimentare. Raramente, raccontano di aver avuto uno “stato di stordimento” e di non ricordare cosa abbiano mangiato.
Chi sviluppa il disturbo di ingordigia
Tutti possono essere colpiti dal Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI) senza distinzioni significative tra uomini e donne, a differenza di quanto avviene per altri disturbi dell’alimentazione, come l’anoressia (leggi la Bufala) o la bulimia, che risultano più diffusi tra le donne rispetto agli uomini.
Il disturbo tende a manifestarsi per la prima volta nei giovani adulti, sino ai 30-40 anni e, spesso, non si acquisisce consapevolezza del problema e non si chiede aiuto.
Come farsi aiutare
Mangiare in quantità eccessiva occasionalmente non significa avere un disturbo da alimentazione incontrollata. Tuttavia, se le abbuffate diventano frequenti e hanno un effetto sulle condizioni di salute fisica e mentale, è opportuno rivolgersi al medico di famiglia. Una volta accertato il disturbo di alimentazione potrà consigliare di rivolgersi a uno specialista come lo psicologo o lo psichiatra.
Autotest – Verificare i seguenti cinque punti: se si risponde affermativamente ad almeno tre punti su cinque è bene rivolgersi ad uno psicoterapeuta per farsi aiutare:
- mangiare più velocemente del normale durante le abbuffate;
- mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni;
- mangiare grosse quantità di cibo anche senza essere affamati;
- mangiare da soli, o di nascosto, a causa dell’imbarazzo che si prova per la quantità di cibo che si mangia;
- provare sentimenti di colpa, vergogna o disgusto dopo essersi abbuffati
Cause del disturbo da alimentazione incontrollata (ingordigia)
Non sono ancora completamente note le cause del disturbo da alimentazione incontrollata, ma il DAI è considerato un comportamento volto a fronteggiare sentimenti di infelicità e scarsa autostima.
I fattori che possono aumentare il rischio di svilupparlo sono:
- bassa autostima e mancanza di fiducia;
- depressione o ansia;
- sensazioni di stress, rabbia, noia o solitudine;
- insoddisfazione verso il proprio corpo e pressioni a dover essere magri;
- aver vissuto eventi stressanti o traumatici in passato;
- presenza, in famiglia, di disturbi dell’alimentazione che possano far pensare a una predisposizione genetica;
- differenze nei meccanismi di controllo da parte del cervello o nei livelli degli ormoni prodotti, rispetto a individui che non soffrono del disturbo.
Come si cura un disturbo da alimentazione incontrollata
Il DAI può essere curato e la maggior parte delle persone potrà stare meglio con l’aiuto di terapie dedicate. Tra queste, le principali sono:
- programmi di auto-aiuto guidati da un terapeuta o messi in pratica da soli
- interventi da parte di un gruppo specializzato
- psicoterapia individuale, come la terapia cognitivo-comportamentale
- farmaci appartenenti al gruppo degli inibitori della ricaptazione della serotonina
Qualora, oltre a fattori di natura psicologica, siano presenti problemi di sovrappeso, è opportuno rivolgersi anche ad uno specialista del settore per elaborare un piano di riduzione del peso da intraprendere insieme, o subito dopo, alle terapie per risolvere gli aspetti psicologici.
Terapie consigliate
Programmi di auto-aiuto – Un programma di auto-aiuto guidato con la presenza di uno psicoterapeuta. Se non è sufficiente si ricorre alla vera e propria Psicoterapia che può aiutare ad affrontare i problemi psicologici che sono alla base del disturbo.
Le tre principali cure (terapie) utilizzate sono:
- terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per il DAI, che consiste nel trovare nuovi modi di “vedere” le situazioni, i sentimenti e il cibo;
- forma adattata della terapia dialettico-comportamentale (DBT), cura volta a migliorare l’abilità di controllo e a regolare le emozioni;
- terapia interpersonale (IPT), cura focalizzata sulle relazioni con gli altri e sul ruolo che esse hanno nell’influenzare le abitudini alimentari.
Tali cure possono essere molto efficaci nell’aiutare le persone con DAI, sebbene non si sappia quanto a lungo possano durare i loro effetti. Soprattutto nelle prime fasi delle terapie è comune sperimentare periodi in cui il disturbo migliora (remissione) e periodi in cui peggiora (ricaduta).
I contatti per i consigli
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La dott.ssa Francesca Romana Dottori offre il servizio di consulenza psicologica online tramite MEET, ZOOM E WHATSAPP, secondo le linee guida per le prestazioni psicologiche a distanza, approvate dall’Ordine Nazionale degli Psicologi.