Esposto a Roma nella chiesa San Marcello al Corso, il quadro di Salvator Dalì ci sorprende con tutta la sua potenza narrativa e la sua drammaticità, percepita semplicemente grazie ad una prospettiva nuova in cui il punto di osservazione non è quello solito, cioè dal basso, ma è direttamente sopra il Cristo in croce.
Il Figlio di Dio è visto dall’alto, da un’ottica differente, da una posizione di poco superiore a quella di quell’uomo inchiodato sulla croce, ed ecco che le sue spalle, le sue gambe, i suoi capelli castani, la muscolatura contratta in una posizione scomoda e dolorosa ci parlano di lui.
Il Cristo di Dalì ci parla di carne, di umano, di sofferenza tangibile e di dolore, ma al tempo stesso magicamente ci trasmette sicurezza, tranquillità e speranza di salvezza, ci ricorda che l’Agnello di Dio ha donato la sua vita per tutti noi.
Il Figlio di Dio è visto dall’alto, da un’ottica differente, da una posizione di poco superiore a quella di quell’uomo inchiodato sulla croce
Oggi questa prospettiva non ci sconvolge più di tanto, abituati come siamo alle immagini riprese dai droni oppure alle foto scattate dai satelliti. In effetti tanti pittori hanno dipinto paesaggi e oggetti o persone viste dall’alto, ma l’immagine del Cristo crocefisso non è così comune come potremmo pensare vista da quest’ottica, in essa si cela un percorso spirituale difficile ma al tempo stesso potente e concreto, che potrebbe svelare ad ognuno di noi alcuni passi da fare.

LA VISIONE MISTICA di SAN JUAN DE LA CRUZ
L’artista viene ispirato dalla reliquia conservata nel Monasterio de la Encarnación di Ávila, un disegno appartenente al mistico San Giovanni della Croce che durante una delle sue estasi, intorno al 1575 disegnò l’immagine di Cristo crocifisso visto dalla stessa prospettiva da cui il Dalì ha preso spunto per la sua opera.
Il santo carmelitano spagnolo cerca di fissare su carta la sua visione estatica e la disegna per tenerne memoria, per regalarla ai posteri. Quasi come un miracolo, questo disegno rimane impresso nella mente di Salvator Dalì che rimane impressionato dalla insolita prospettiva e ne trae spunto per il suo dipinto.
…Dalì si reca in Castilla y Leon per visitare il monastero dove non solo Giovanni della Croce ma anche Santa Teresa d’Ávila hanno vissuto le loro esperienze mistiche
Quando Dalì si reca in Castilla y Leon per visitare il monastero dove non solo Giovanni della Croce ma anche Santa Teresa d’Ávila hanno vissuto le loro esperienze mistiche e le loro estasi spirituali, ne rimane affascinato ed impressionato a tal punto che si sente spinto a fare conoscenza con un monaco carmelitano che diventerà suo amico e lo accompagnerà nel viaggio spirituale lungo la Via della Notte Oscura d’Amore, ovvero la via che San Giovanni della Croce descrive nei suoi testi come la più diretta per arrivare ad ottenere la perfetta unione con Dio.
UN CAPOLAVORO SPIRITUALE
Dipinto nel 1951 questo quadro è considerato uno dei capolavori più importanti di tutti i tempi, creato in un periodo di travaglio interiore nel quale l’artista si stava riavvicinando alla religione cristiana dopo i drammatici avvenimenti della Guerra Civile spagnola.
Proprio a causa di alcuni dubbi legati alla perdita di identità causata anche dalla valutazione critica di tutta l’arte contemporanea che in quel momento storico non riusciva a comprendere a fondo, l’artista passato attraverso il periodo della mistica nucleare, ripesca le tracce del rinascimento italiano e le unisce al surrealismo di cui era portavoce, riuscendo incredibilmente a combinare la spiritualità cattolica con l’interesse per la fisica e la filosofia.
Vive un travaglio interiore molto forte e imprime una svolta alla sua vita, tanto che proprio nel ’51 scrive il Manifesto Mistico.

Grazie all’attenzione del curatore della mostra Don Alessio Geretti, abbiamo la possibilità di ammirare le due opere nello stesso luogo, infatti, la teca con il piccolo disegno di San Giovanni della Croce è stata posizionata proprio sotto al quadro del Dalì, in modo da darci modo di poter riflettere sull’importanza delle ispirazioni e anche dei diversi cammini spirituali è che possibile percorrere nella propria vita. Un’occasione unica per poter vedere insieme i due capolavori.

Reliquia del disegno di San Giovanni della Croce
L’ARTISTA SI AVVICINA ALLA FEDE
A causa del profondo stato di crisi e di critica interiore legata soprattutto all’espressionismo di quel periodo vissuto con dolore e perplessità, Dalì sente la necessità di riavvicinarsi a Gesù, di conoscerlo, di ricomprenderlo, di capirlo di nuovo.
Apre il suo cuore a Cristo e questo gli permette di interpretare il senso più profondo e esoteriologico della figura del Salvatore, la sua potenza salvifica immaginata nel basso come un porto sicuro, un porto di salvezza dove trovare amici pescatori (pescatori di anime?) che attendono con fiducia in un’atmosfera di pace e di tranquillità rischiarata da un cielo azzurro sotto una pesante coltre di nuvole scure che scendono giù dai piedi della croce evocando il tragico arrivo delle tenebre raccontato da Giovanni Evangelista nel momento della crocifissione.

…una pesante coltre di nuvole scure che scendono giù dai piedi della croce evocando il tragico arrivo delle tenebre raccontato da Giovanni Evangelista nel momento della crocifissione
IL PAESAGGIO DI PORTLLIGAT
Inconfondibile il paesaggio di Portlligat la località della Costa Brava, dove il genio surrealista si ritirò fin dagli anni Trenta. Attratto dalla tranquillità di quel piccolo paese, dalla luce e dal paesaggio marittimo che si godeva dalla sua finestra, Savator Dalì visse in quel luogo lontano dalle grandi città, alla ricerca di una pace interiore che lo tormentava.
Trovò un magico isolamento traformando una vecchia baracca di pescatori nella sua residenza, che ora è diventata un bellissimo museo e considerata anch’essa un’opera d’arte piena di oggetti creati dal pittore durante i cinquant’anni in cui visse in questa casa (dal 1930 fino alla morte della moglie Gala nel 1982).

Il profilo dell’artista tracciato sullo sfondo frastagliato di roccia
IL SIMBOLISMO SURREALISTA NEL CRISTO DI DALÌ
Sulla destra le rocce suggestive di Cap de Creus che richiamano l’idea delle coste del Lago di Tiberiade dove Gesù di Nazareth incontra i suoi nuovi amici pescatori Andrea e suo fratello Simone che proprio in quel luogo chiamerà Cefa (Pietro).
Gesù entra in contatto con loro, li rende partecipi della sua missione, li accoglie in casa sua ed essi lo riconoscono come il Messia, ovvero il Cristo che cercavano da tempo. Il mare di Portlligat diventa il Mare di Galilea nell’immaginario del genio di Dalì, ovvero il punto da dove inizia l’avventura di Gesù con i suoi discepoli.
Come contributo personale, ecco il suo autoritratto quasi nascosto sullo sfondo dove l’artista traccia il suo inconfondibile profilo nella linea delle rocce frastagliate. Dalì ci offre il suo punto di vista, contempla Cristo da quella posizione scomoda e al tempo stesso tranquilla, un mare calmo ed un cielo azzurro sono il segno di una pace ritrovabile, vicina, non troppo difficile da trovare ma ancora lontana.
Una pace trovata nella fede sotto il cielo nero di nuvole scure a ricordare la creazione dal buio delle tenebre, per arrivare alla speranza di un’alba di Luce e di pace.

Silvia Amadio
Le foto sono di Silvia Amadio