Dalla costa orientale di Tenerife giunge il primo allarme serio di inquinamento di una nuova sostanza che si è venuta a formare dall’unione di catrame e microplastiche.
Sta accadendo ciò che non avremmo mai voluto che avvenisse. Molti di noi hanno scelto di venire a vivere
nell’arcipelago Canario per svariati motivi, non ultimo per le acque cristalline che il mare di queste isole ci offre.
Purtroppo, sulla costa orientale di Tenerife, la maggiore delle isole canarie, su una delle spiagge più conosciute,
Playa Grande, dove la sabbia è fine e le acque sono cristalline, sono state trovate tracce di inquinamento
inaspettato e che genera forte preoccupazione per lo stato ecologico non solo di Tenerife, ma di tutto l’arcipelago.
Su alcune delle sporgenze rocciose che affiorano dalla spiaggia si notano delle macchie molto scure con
qualche filamento di vario colore o altro materiale estraneo incollato alla superficie rocciosa. Queste
macchie sono costituite da una sostanza che al tatto è molliccia e calda (siamo sotto un sole subtropicale).
Analizzato tale materiale, è giunta la notizia preoccupante: si tratta, in realtà, di un nuovo composto
insidioso che fa parte dei prodotti inquinanti. Gli scienziati che hanno appena scoperto questo nuovo
pericolo per l’ambiente lo hanno chiamato “plastitar” (l’unione tra i termini inglesi plastic (plastica) e tar
(catrame)): si tratta di catrame (petrolio fuoriuscito dalle ormai famigerate petroliere e non solo)
mescolato a microplastiche multicolori che si riversano negli oceani di tutto il mondo (le microplastiche
sono frammenti di rifiuti plastici di lunghezza inferiore a 5 millimetri).
Nuova forma di inquinamento
Esaminando la roccia di Playa Grande gli scienziati hanno constatato che più della metà era ricoperta da
questa sostanza che, a quanto pare, aderisce bene alla superficie della roccia quasi fondendosi con essa.
Purtroppo, Tenerife non è stata l’unica isola toccata da questo fenomeno; hanno trovato questa nuova
sostanza inquinante anche nelle vicine isole di El Hierro e Lanzarote.
“Abbiamo visto che il catrame era pieno di plastica – racconta Javier Hernández-Borges, chimico analitico
dell’università di La Laguna e coautore di un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Science of the Total
Environment –. Ci siamo imbattuti in qualcosa di nuovo e che probabilmente sta accadendo in diversi
luoghi del mondo, non solo nelle isole Canarie”.
Si chiamano “nurdles”, e sono le materie prime utilizzate per la produzione di prodotti in plastica, una sorta di pellet destinato a essere fuso per realizzare bottiglie o borse.
Quando però vengono spediti in giro per il mondo, questi nurdles vengono regolarmente dispersi in quantità sorprendenti.
Secondo una stima, ogni anno negli oceani finiscono circa 500 milioni di chili di questo materiale.
Nell’immagine seguente, i ricercatori hanno identificato anche molti altri tipi di microplastiche
incorporate nel catrame.
Ogni volta che si lava un carico di indumenti sintetici come il poliestere o il nylon, per esempio, milioni di fibre si staccano e finiscono in mare attraverso le acque reflue. I frammenti, invece, provengono probabilmente da oggetti di plastica più grandi che galleggiano nell’oceano aperto, scomponendosi in pezzi sempre più piccoli.
“La maggior parte della plastica che stanno osservando è macroplastica deteriorata, non nurdles – dice
Deonie Allen, scienziata delle microplastiche della University of Strathclyde, che non è stata coinvolta nella ricerca –. È proprio la nostra spazzatura”.
Parte di questa, poi, va a finire nello stomaco dei pesci che noi mangiamo.
Non sarà una cosa semplice correggere tutti questi errori, ci vorranno anni di lavoro e di continua informazione che, però, non sempre potrebbe essere accolta nel giusto significato.
Quindi, necessariamente, si dovrà cominciare dalle scuole, educando i bambini alla conservazione sana del loro ambiente perché proprio questo habitat costituirà una parte della casa della loro vita futura.
Articolo comparso originariamente su Wired US, rielaborato e aggiornato.
di Stefano Dottori