L’autore
Edgar Allan Poe nacque a Boston nel 1809 e morì a Baltimora all’età di 40 anni. Il mistero avvolge i motivi della sua morte. Fu trovato da un signore, tale Joseph Walker, mentre vagava per le vie di Baltimora in stato confusionale, in abiti che non erano i suoi, e apparentemente ubriaco. In realtà Edgar Allan Poe che sì, era stato un alcolista, non beveva da sei mesi ed aveva chiuso anche con la droga.
Sia l’alcol sia l’oppio furono comunque presenti nella sua vita solo dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1847 per tisi. Edgar Allan Poe li assumeva per combattere la depressione in cui era caduto ma, per una predisposizione genetica.
Non fu mai fatta una autopsia e non sono stati conservati gli atti dell’ospedale e nemmeno il certificato di morte. Spirò senza aver mai ripreso completamente lucidità e poter spiegare i motivi del suo stato.
Le ipotesi sulla morte
Le ipotesi sulle cause sono state influenzate dalla sua vena letteraria e poetica di scrittore “gotico”. In realtà Edgar Allan Poe scrisse la maggior parte dei suoi capolavori quando non era né alcolizzato nè sotto effetto degli oppiacei.
Vale la pena qui ricordare che la letteratura gotica è stata, ed è tutt’ora anche in versione musicale, una branca della narrativa che divenne popolare per la prima volta alla fine del 1700 in Europa. Le storie generalmente presentano una combinazione di elementi horror, misteriosi e romantici, con molti tratti stilizzati e una particolare attenzione all’ambientazione.
Quindi Edgar Allan Poe ambientò i suoi racconti e le sue poesie in questa atmosfera dale tinte oscure coscientemente e con arte, non perchè fosse mentalmente disturbato come i suoi detrattori tentarono di farlo passare.
Visse e morì in povertà, come molti artisti della sua epoca. Di Lui voglio ricordare i capolavori come “La caduta della casa degli Usher” del 1840, “Il pozzo e il pendolo” del 1842, “il gatto nero” dell’anno successivo, ma sarebbe troppo lungo citarli tutti, ma vi invito, se già non siete sue “vittime”, a leggerli.
E.A.Poe e la poesia
In questo articolo voglio rendere omaggio all’Edgar Allan Poe poeta, con una delle sue poesie più famose e, per me, più bella: “the raven” ovvero “il corvo”, invitandovi a lasciarvi coinvolgere e ricostruire mentalmente l’atmosfera evocata dai suoi versi.

Non a caso la lapide della sua sepoltura originale ha scolpito in alto proprio un corvo (successivamente venne traslato in una tomba monumentale).
Il corvo è una poesia che parla del senso della morte e dello scorrere incessante del tempo, dell’angoscia dell’uomo di fronte alla perdita della persona amata.
Il protagonista, dopo la morte dell’amata Leonora, durante una notte tormentata, riceve la visita di un corvo. l’uomo lo incalza di domande, alle quali il corvo risponde ripetendo una semplice parola: nevermore, “mai più”.
L’uomo continua ostinatamente a porgli domande, alle quali il corvo risponde sempre con la stessa risposta negativa. Incontrerà mai l’amata Leonora? Troverà nuovamente pace nella sua vita? nevermore.
Il protagonista continua a porgere domande perchè vuole sperare. E qui Edgar Allan Poe con una unica parola, mai più, dà un messaggio chiaro: la speranza è vana! Solo il dolore resta, il dolore che nemmeno il tempo può o sa guarire.

Il corvo
Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco, sopra alcuni bizzarri e strani volumi d’una scienza dimenticata; mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando – d’un tratto, sentii un colpo leggero, come di qualcuno che leggermente picchiasse – pichiasse alla porta della mia camera.
«È qualche visitatore – mormorai – che batte alla porta della mia camera.»
Questo soltanto, e nulla più.
Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre, e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.
Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre dai miei libri un sollievo al dolore – al dolore per la mia perduta Eleonora, e che nessuno chiamerà in terra – mai più.
E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea, facendomi trasalire – mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima, sicchè, in quell’istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo: «È qualche visitatore, che chiede supplicando d’entrare, alla porta della mia stanza. Qualche tardivo visitatore, che supplica d’entrare alla porta della mia stanza; è questo soltanto, e nulla più».
Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo:
«Signore – dissi – o Signora, veramente io imploro il vostro perdono; ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente, e voi sì lievemente bussaste – bussaste alla porta della mia camera, che io ero poco sicuro d’avervi udito». E a questo punto, aprii intieramente la porta.
Vi era solo la tenebra, e nulla più.
Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare; ma il silenzio rimase intatto, e l’oscurità non diede nessun segno di vita;
e l’unica parola detta colà fu la sussurrata parola «Eleonora!»
Soltanto questo, e nulla più.
Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme; ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.
«Certamente – dissi – certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra.»
Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.
È certo il vento, e nulla più.
Quindi io spalancai l’imposta; e con molta civetteria, agitando le ali, si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d’altri tempi; egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera, s’appollaiò, e s’installò – e nulla più.
Allora, quest’uccello d’ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere, con la grave e severa dignità del suo aspetto:
«Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso – io dissi – tu non sei certo un vile, orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte dimmi qual è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!»
Disse il corvo: «Nevermore».
Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello, sebbene la sua risposta fosse poco sensata – fosse poco a proposito; poichè non possiamo fare a meno d’ammettere, che nessuna vivente creatura umana, mai, finora, fu beata dalla visione d’un uccello sulla porta della sua camera, con un nome siffatto: «Nevermore».
Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente quest’unica parola, come se la sua anima in quest’unica parola avesse effusa.
Niente di nuovo egli pronunziò – nessuna penna egli agitò – finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: «Altri amici mi hanno già abbandonato, domani anch’esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato».
Allora, l’uccello disse: «Nevermore».
Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta:
«Senza dubbio – io dissi – ciò ch’egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza, presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello, finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello:
«Never, Nevermore».
Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso, subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all’uccello, al busto e alla porta; quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d’altri tempi, che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d’altri tempi
intendea significare gracchiando: «Nevermore».
Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba all’uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell’intimo del mio petto; io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente; ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente Ella non premerà, ah! – mai più!
Allora mi parve che l’aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile, agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento,
«Disgraziato! – esclamai – il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti ha inviato il sollievo – il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora! Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!»
Disse il corvo: «Nevermore».
– «Profeta – io dissi – creatura del male! – certamente profeta, sii tu uccello o demonio! –
– «Sia che il tentatore l’abbia mandato, sia che la tempesta t’abbia gettato qui a riva, desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata in questa visitata dall’orrore – dimmi, in verità, ti scongiuro
– «Vi è – vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi – ti scongiuro. –
Disse il corvo: «Nevermore».
– «Profeta! – io dissi – creatura del male! – Certamente profeta, sii tu uccello o demonio!
– «Per questo Cielo che s’incurva su di noi – per questo Dio che tutti e due adoriamo – di’ a quest’anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden, essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora, abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora».
Disse il corvo: «Nevermore».
– «Sia questa parola il nostro segno d’addio, uccello o demonio!» – io urlai, balzando in piedi. «Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte! Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita! Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta!
Disse il corvo: «Nevermore».
E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza, e i suoi occhi sembrano quelli d’un demonio che sogna; e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia, fuori di quest’ombra, che giace ondeggiando sul pavimento non si solleverà mai più!

Se invece volete chiudere gli occhi e immaginare la scena, eccovi la versione audio letta da E. Camponeschi per il canale YouTube Ménéstrandise Audiolibri:
Spero di avervi fatto cosa gradita e avervi stimolato a leggere altro di questo straordinario, sfortunato, maledetto autore.
Lunga Vita e Prosperità
Giampiero Sorce