clienti

Questa mattina mi sono svegliata di soprassalto. Per chi non lo sapesse sono una cameriera e stavo proprio sognando di lavorare. Dovevo prendere l’ordine ad un tavolo di una famiglia che non si decideva, e piú passava il tempo e piú la sala si riempiva di clienti. Mi veniva voglia di piangere  ma cercavo di rimanere calma. Fino a quando non mi sono spazientita del tutto e ho iniziato a gridare, cosí ho aperto gli occhi. Quasi ogni notte mi capita di sognare qualcosa inerente al mio lavoro e so di non essere l’unica, capita anche a molti miei colleghi. Molto spesso ci scherziamo su, dicendo che dovrebbero pagarci anche per le ore di sonno poiché anche li continuiamo a lavorare. Pochi possono immaginare il livello di stress che comporta lavorare con il pubblico.

Sono certa che in qualsiasi settore che richieda ‘clienti da accontentare’ ci siano altrettanti lavoratori stressati e stanchi, ma nella mia breve esperienza di vita lavorativa, posso affermare che fare il cameriere sia senza dubbio tra i piú difficili. Non é solo il dover lavorare tutti i giorni festivi, perdendo momenti importanti con la famiglia. Non é solo portare un vassoio o prendere un ordine. Essere cameriere significa soprattutto avere a che fare con i tanto amati e odiati clienti.

Partiamo dal presupposto che quasi ogni ristorante ha la sua tipologia di clienti.Ci sono le osterie, i fast food, i ristoranti stellati, e ognuno di essi richiama un tipo di persona. Ma avendo lavorato in posti totalmente diversi tra di loro, posso affermare che esistano alcuni paradigmi assoluti, alcune caratteristiche che accomunano un po’ tutti i clienti, a prescindere dal portafoglio. “L’acqua la preferisce frizzante o naturale?” “Si”. Ma che significa? O quelli che si dimenticano tutt’a un tratto come si paga con il Pos. Vi giuro che quasi ogni sera mi capita qualcuno che vuole mettere il PIN prima di inserire la carta e se non lo fermo in tempo devo rifare tutta l’operazione daccapo e mi guardano quasi diffidenti, come se cercassi di truffarli.

Poi esistono quei clienti che non si sappia in che dimensione spazio-temporale entrino tra il momento dell’ordine e il momento in cui arrivano le portate, poiché si dimenticano ció che hanno ordinato. E tu ti ritrovi a dover gridare “spalla di agnelloooo, chi ha ordinato la spalla d’agnelloooo???? Signora é sua? No?” E allora pensi che magari tu stesso ti sia sbagliato nel momento dell’ordine, e proprio mentre stai per tornare in cucina con il piatto si sente “Mia, é mia!!” da qualcuno che finalmente ha deciso di alzare gli occhi dal cellulare. Considerando il fatto che io lavori in un ristorante dove la musica é alta come in un concerto, dove a volte devi mimare le parole per far si che ti capiscano, dove le ballerine, saxofonista, chitarrista, cantanti e violinista passano tra i tavoli, il tutto si complica in maniera esponenziale.

Per non parlare di quelli che ti chiamano per ordinare, tu hai la sala piena, sai che dovresti fare altre 10 cose prima di prendere quell’ordine ma decidi lo stesso di farlo. E il cliente tutto tranquillo, come se fosse l’unico presente, inizia a riguardare la carta dagli antipasti al dolce, evidentemente non ancora pronto all’ordine. Ci sono tantissimi micro momenti durante un servizio che mettono a dura prova la pazienza di un cameriere. E tutti derivano solamente da un grande errore, la piú grande menzogna della storia dell’umanitá, ovvero “il cliente ha sempre ragione“. Ma chi lo dice? Non é assolutamente vero, anzi. Questo mantra ha contribuito a generare in molti clienti quell’arroganza e quell’aria di superioritá che adottano nei confronti di chi li serve.

Quando ho iniziato a lavorare nell’ultimo ristorante (dove “resisto” da quasi tre anni), cercavo sempre di accontentare cordialmente le richieste dei clienti. Poi ho capito che per fortuna lavoro in un posto dove non é la clientela che ci manca, dove ogni sera centinaia di persone sono assicurate. Dove non siamo noi ad aver bisogno di loro, ma piú il contrario, sono loro che vogliono a tutti i costi venire a mangiare o a bere da noi.

E quindi ho smesso di trattare bene quelli che bene non mi trattavano. Mi ricordo ancora il punto di rottura. Avvenne una sera con un tavolo di signore. Quando arrivó il cibo, stavano beatamente facendosi i fatti loro. Chi si scattava una foto, chi parlava, chi mostrava sul cellulare qualcosa. Era un sabato sera, eravamo stra pieni. Iniziai a chiedere di chi fossero i calamari. Nessuna risposta. Passai all’insalata di pollo, uguale. Quelle signore pensavano solo a farsi i fatti loro. Il mio collega aveva il vassoio pieno di piatti e cosí, alla terza portata dove nessuna nemmeno si degnava di guardarmi, cominciai a metterli a caso.

Stavo giusto per allontanarmi quando sentii “senti un po eh, ma é cosí che si fa?” A quel punto risposi che si, é cosí che si fa quando i clienti non ti fanno caso e quella signora strabuzzó gli occhi e mi disse “bah, io una cameriera cosí non l’ho mai vista”. Al che, ricordo per la prima volta in vita mia che pensai una cosa che da li in avanti mi avrebbe cambiato per sempre. A me pagano per lavorare, non per sopportare le ingiustizie. E cosí, con un sorriso le risposi: “Non si preoccupi signora, nemmeno lei é la miglior cliente del mondo”.

Da allora mi sono ripromessa che la professionalitá a volte é meno importante della salute. Ció mi ha portato ad essere separata a forza da un cliente che non voleva pagarmi e che inizió a chiamarmi cagna in inglese.

Un’altra volta ebbi una litigata furibonda con due ragazze che avevano ordinato di tutto e di piú e che al momento del conto mi dissero che avrebbe pagato un amico del proprietario. Quando dissi loro che cosí non funziona, che di solito ci avvisano prima se dobbiamo invitare la cena a qualcuno, queste iniziarono a chiedermi “Ma qual e’ il tuo problema?” La mia risposta fu “Guarda, il problema ce l’avete voi, che andate in un ristorante e ordinate le cose piú care che ci siano per poi nemmeno pagare”. La conversazione degeneró e dovette arrivare il tipo della sicurezza. Spoiler: si, erano amiche del tizio, ma non era stata promessa loro nessuna cena.

Ne ho avute tante di litigate con i clienti. Ormai li so riconoscere. Ci sono quelli che si lamentano sperando di avere lo sconto, altri che si infastidiscono perché non ci stai quando ci provano (la categoria di quelli che pensano cameriera gentile= donna che ci sta é molto piú grande di ció che ci si immagini), quelli che bevono il mondo e al momento di pagare non si ricordano di aver invitato tre giri di chupiti a dieci persone e si lamentano del conto. 

Poi ci sono quelli che vengono giá ubriachi e l’unica cosa che ci danno sono problemi. Una volta un gruppo di ragazze ubriache venne per bere. Iniziarono a gridarci che i cocktail che stavamo servendo non avessero alcol. Ricordo di aver chiesto pazienza alla ragazza del bar e lei me li rifece senza fiatare. Queste continuarono a urlarci in malo modo che non sapevamo fare i cocktail e che mai e poi mai avrebbero pagato e fecero per andarsene. Noi cercammo di tenerle li, dicendo che avremmo chiamato la polizia e una di loro inizió a minacciarci. Alla fine furono loro stesse a chiamare la polizia, per sequestro di persona. Ancora rido quando ci penso.

Un’ altra volta una donna finse di avere le convulsioni per attirare l’attenzione del marito, si buttó perfino sul pavimento. Un’altra, sempre in cerca di attenzioni, chiese ad un mio collega (davanti al fidanzato) se volesse toccargli le tette.

Ricordo di quella volta che una coppia di amanti chiese la oja de reclamacion poiché qualcuno, avendoli visti assieme, gliel’aveva riferito alla moglie di lui, e quindi ci accusó di non aver garantito la loro privacy. O quella sera che un uomo in evidente sovrappeso si lanció dal palco stile stella del rock quando si lancia sul pubblico  e fece un buco enorme nel pavimento. Ho perso il conto delle volte che é dovuta arrivare la polizia o l’ambulanza per colpa dei clienti irresponsabili.

O di quanta gente abbiamo dovuto accompagnare fino alla fermata del taxi. Una volta io e altre due mie colleghe abbiamo dovuto sostenere due energumeni ubriachi, che a stento camminavano, fino alla fermata. Ricordo che un tizio continuava a starnutirsi addosso. Una delle due ragazze si chiama Chamaida, e anche se non lavora piú li é una delle mie migliori amiche. Con lei ne ho viste davvero di tutti i colori. Una volta abbiamo perfino rincorso tre ragazzini che erano scappati senza pagare. Abbiamo corso per metri e metri, fino a quando un nostro collega é riuscito a fare uno sgambetto all’ultimo del gruppo. I taxisti ci guardavano basiti e il poveretto ha iniziato a piangere. Vi risparmio gli insulti di Chamaida.

 E poi ci sono quelli che scambiano il ristorante per casa propria e decidono di dedicarsi a effusioni romantiche che manco in un film, quelli che pensano che sei un cameriere in copertura e ti chiedono se puoi vendergli della droga. Quelli che “io sono amico del tuo capo” e ai quali piacerebbe rispondere ” si ok, qualcos altro di cui non mi importa nulla?”. Quelli che non se ne vogliono andare! Quanto li odio! Ti vedono che sei li, che hai finito, che le luci e la musica sono spente e tu stai in piedi a stento aspettando che si accomodino fuori. Quasi sempre nel bicchiere é rimasto solo il ghiaccio e loro continuano a parlare… Ma non ce l’avete una casa??

Poi ci sono quei clienti fissi che ogni volta che entrano, iniziamo a pregare che non tocchi a noi servirli, come A. A, una cliente di cui non faró il nome, viene circa una volta ogni due mesi. Isterica, arrogante, alcolizzata e amante dell’attenzione, ci rende letterlamente un inferno quelle ore in cui rimane nel ristorante. Ogni volta é un dramma, come l’ultima volta che pretendeva che le scattassimo foto ogni momento. Stavo prendendo l’ordine ad un tavolo quando é arrivata ordinandomi di farle una foto “right now”. Le ho risposto di aspettare un paio di minuti e ha iniziato a urlare che fosse il suo compleanno. Poi, vedendo che il cantante si era dimenticato di nominarla al momento degli auguri, ha lanciato per aria la torta.

Una volta ricordo che avesse strattonato un mio collega e che gridando fosse uscita dal locale, per poi ritornare minuti dopo poiché si era dimenticata il cagnolino.

Peró ci sono anche quelli che porto nel cuore, quelli per cui mollo tutto ció che sto facendo per abbracciarli quando entrano  e a cui voglio davvero bene, poiché nel tempo si é creato un rapporto che va oltre a quello professionale. Ci sono quelli che ritornano ogni anno, come una coppia di anziani tedeschi che mi trattano come se fossi una loro nipote, e mi riempiono furtivamente la mano con dei soldi e mi fanno l’occhiolino. O come Hainz, noi lo chiamiamo cosí. É un signore con dei lunghi baffi bianchi e un sorriso contagioso come pochi, che viene sempre solo e ci sorride sempre, SEMPRE. Ve lo giuro, non l’ho mai visto serio. E lui, seduto li al bancone, é testimone silenzioso di tutti gli innumerevoli, strambi, indefinibili incontri ravvicinati con i clienti.