poesia

Una poesia per ripensare il nostro rapporto tra mondo e possesso:

In un momento di quiete,

in cui tutt’attorno è tenue

c’è qualcosa che non rispecchia

ciò che il mio corpo possiede.

Il mondo che viviamo è tutto nostro,

incastonato nel nostro passato.

Pietrificato in una vita

che non può essere che nostra

e di nessun altro.

Là fuori invece, il mondo è vostro, è loro,

solo in parte è tuo.

È un caleidoscopio di vite

che creano lo sfondo in cui tutti appariamo.

È difficile il possesso:

ciò che è mio, in questo vibrante mondo al plurale,

è un po’ anche di tutti.

Il mio in ciò che vivo invece, è personale

e soltanto mio.

Uno degli inconvenienti della vita

È considerare esclusivo

ciò che in realtà non lo è:

fa parte sia di me,

che di te,

che di tutti gli altri

La riflessione che propongo può essere propria di ogni persona che vuole fermarsi davanti una strada, un parco, una spiaggia, o un qualsiasi altro panorama degli occhi.

In quel momento si ammira non so, una macchina, un albero o un generico elemento particolare che fa parte dello sfondo. Ecco, se percepiamo questi elementi come esclusivamente “cose”, rischiamo di perdere la profondità di ciò che osserviamo.

Nel mondo il possesso è plurale, non individuale

Siamo abituati a porre attenzione al “nostro”, a ciò ci appartiene, possono essere le chiavi di casa o il motorino. In quel momento identifichiamo subito la proprietà ed eleviamo quell’oggetto con l’aggettivo possessivo “nostro”, ma tutto questo è parziale.

Se apriamo lo sguardo alla pluralità, scopriamo che la strada su cui ogni giorno camminiamo, i fiori che osserviamo, i rumori che ascoltiamo, sono parte un una grande sinfonia che non componiamo da soli.

La sfera del personale e del possesso ha ragione di essere espressa per tutto quello che riguarda il mio mondo interiore. Le mie sensazioni, le mie idee, ciò che insomma è proprio mio.

Ma là fuori, nel mondo, la chiave sta nell’interazione, nella partecipazione reciproca di cui non ci accorgiamo. Le strade sono state costruite da esseri umani, come le macchine e le case; gli alberi sono lì perché dei semi sono stati trasportati (da noi o dalla natura).

Spesso usiamo il possesso per esprimere una proprietà individuale, ma nel mondo questo possesso non esiste, il possesso di ciò che è fuori da noi è una proprietà plurale.

“con-divenire – non divenire e basta – è il nome del gioco […] Nature, culture, soggetti e oggetti non pre-esistono ai loro mondeggiamenti intrecciati” D. J. Haraway

fonte immagine: “Relation in Time” di Marina Abramović e Ulay