La chimica delle stelle può essere maggiormente indagata mediante strumenti tecnici all’avanguardia, permettono una più precisa definizione delle abbondanze di elementi nelle stelle e da lì affermare nuove e più precise basi per uno studio maggiormente realistico del nostro cosmo.
La chimica stellare è una disciplina dell’astrofisica in quanto ci dice quali sono le abbondanze degli elementi chimici che si trovano in una certa stella. Lo strumento che viene usato è lo spettrografo e presso lo I.A.C. (Istituto Astronomico delle Canarie) se ne sta usando uno ad alta risoluzione in funzione presso il Gran Telescopio Canarias (GTC) 10,40 m. utilizzando alcune componenti dello spettrografo usato sul telescopio William Herschel Telescope (WHT) 4.2 m., che si trova a La Palma, tra il 1992 e il 2001. Lo spettrografo non è altro che uno spettroscopio che trasforma la luce in uno spettro legato alla lunghezza d’onda luminosa o alla sua frequenza.
Scopi della ricerca chimica stellare.
La spettroscopia delle stelle ci permette, con le informazioni che ci pone a disposizione, di determinare le proprietà e le composizioni chimiche delle stelle.
Da queste informazioni, per le stelle di età diversa nella Via Lattea, è possibile ricostruire l’evoluzione chimica della Galassia, nonché l’origine di elementi più pesanti del boro formati principalmente all’interno delle stelle.
Da osservare che i metalli pesanti (quelli più pesanti del boro) si sono formati in epoche successive ed il loro ritrovamento è un buon indicatore circa l’età della stella e della sua particolare evoluzione.
È anche possibile studiare la formazione stellare e quella della Galassia stessa, attraverso la distribuzione della massa, dell’età e dell’abbondanza degli elementi pesanti.
L’ottenimento di spettri ad alta risoluzione spettrale, adatti per approfondire gli studi sulla composizione chimica, richiede strumentazione sofisticata ed efficiente. Ciò è particolarmente vero nella ricerca che richiede ampi campioni di stelle, che richiedono centinaia, o addirittura migliaia di sorgenti da osservare contemporaneamente. L’elaborazione e l’analisi dei dati devono essere necessariamente automatizzate per essere altrettanto efficienti.
Questi strumenti devono possedere una altissima sensibilità per poter apprezzare le pur minime variazioni delle frequenze delle onde elettromagnetiche (tra le quali anche quelle luminose) emesse dalle stelle.
L’interpretazione degli spettri si basa su modelli fisici delle atmosfere delle stelle, da cui fuoriesce la luce che osserviamo. Gli ingredienti fondamentali per la costruzione di questi modelli sono la fluidodinamica e le proprietà di atomi, ioni e molecole, soprattutto in relazione alle loro interazioni con la radiazione proveniente dall’interno stellare.
Dal modello allo studio di una teoria possibile
Una volta ottenuto un modello plausibile, è possibile calcolare in dettaglio come la radiazione si propaga attraverso l’atmosfera stellare e lo spettro emergente, per confrontarla iterativamente con le osservazioni e perfezionare eventualmente il modello.
Questo progetto comprende tre diversi filoni di ricerca:
– miglioramento dei modelli atmosferici e delle simulazioni degli spettri stellari con l’introduzione delle più recenti scoperte teoriche che possano fornire una realtà aspettata;
– lo sviluppo di strumenti per l’ottenimento, lo studio (la riduzione e l’analisi) di osservazioni spettroscopiche ed in particolare per la determinazione delle abbondanze chimiche nelle stelle;
la progettazione, la preparazione e l’esecuzione di studi spettroscopici delle stelle al fine di comprendere:
a) gli aspetti più rilevanti della fisica delle atmosfere stellari,
b) la formazione e l’evoluzione delle stelle,
c) l’origine degli elementi chimici,
d) la formazione, la struttura e l’evoluzione chimica della Via Lattea.
Caccia agli intrusi nella Via Lattea
La nostra galassia, la Via Lattea, è una splendida spirale che si stima contenga dai 100 ai 400 miliardi di stelle. Alcune di queste stelle si sono originate nella stessa nube di polveri e gas che ha originato la galassia stessa. Altre, invece, sono stelle di galassie più piccole inglobate nella Via Lattea tramite processi di fusione galattica.
Capire quali stelle appartengano al primo gruppo e quali al secondo è fondamentale per comprendere la storia della sua formazione.
Un modo per discriminarne l’origine si basa sulla diversa abbondanza di specie chimiche. Il motivo di ciò è semplice: stelle che nascono insieme hanno abbondanze di elementi chimici simili tra loro, ma significativamente diverse da quelle di altre popolazioni di stelle che hanno avuto una diversa origine, quindi stelle nate in luoghi diversi dovranno avere storie di arricchimento chimico diverse.
In un articolo apparso nel numero di febbraio 2022 della rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society un team di astronomi descrive i risultati di un’indagine il cui obiettivo è proprio questo: trovare la chimica che fa la differenza, ovvero determinare le abbondanze delle specie chimiche che possano aiutare a distinguere la diversa origine stellare.
«Sebbene la Via Lattea sia la nostra galassia natale, non capiamo ancora come essa si sia formata ed evoluta», sottolinea Sven Buder, ricercatore dell’Arc Centre of Excellence for All-Sky Astrophysics in 3 Dimensions (Astro3D) australiano e primo autore dello studio. «La Via Lattea ha divorato molte galassie più piccole, ma fino a poco tempo fa non avevamo prove sufficienti per affermarlo con certezza. Questo perché le immagini delle stelle che contiene sembrano le stesse. Questo vale sia per quelle nate al suo interno sia per quelle nate all’esterno e poi inglobate nella galassia stessa».
L’indagine osservativa Galah
Nel loro studio, Buder e colleghi hanno utilizzato i dati dell’indagine osservativa Galah (Galactic Archeology with Hermes) per ottenere gli spettri di luce di oltre 600mila stelle presenti nell’alone galattico – la struttura sferica che circonda le galassie a spirale – e nel disco galattico – la struttura a forma di disco in cui è presente il maggior numero di stelle di una galassia a spirale. All’interno di ogni spettro di luce troviamo specifiche bande che variano a seconda della composizione chimica della stella. Nella pratica, una sorta di codice a barre univoco.
«Scansionando questi “codici a barre” stellari, abbiamo misurato quale fosse l’abbondanza di trenta elementi chimici come sodio, ferro, magnesio e manganese. Abbiamo osservato anche come variassero le loro concentrazioni a seconda di dove è nata la stella», dice Buder.
Combinando queste informazioni con quelle relative all’età e alla dinamica stellare ottenute dal satellite Gaia, i ricercatori hanno infine identificato la composizione chimica che meglio permette di discriminare l’origine intra o extra-galattica delle stelle.
«In generale, la combinazione di chimica e meccanica ci fornisce uno strumento molto potente per la comprensione dei meccanismi di formazione della nostra galassia. Non solo, anche la comprendione degli eventi di accrescimento (o “cattura”) di altre popolazioni. Tali eventi hanno contribuito all’assemblaggio della Via Lattea come la vediamo adesso».
«In futuro questa nuova metodologia potrà essere applicata anche per rivelare differenze all’interno delle popolazioni stellari catturate. Inoltre, anche per investigare quanto simili o diverse siano le stelle in situ rispetto a quelle catturate e questo non soltanto sul piano chimico».
Conclusioni
Quindi, un po’ ricominciare, ma con mezzi molto più avanzati di quelli usati nel secolo passato. Ora abbiamo le possibilità tecnologiche decisamente più avanzate. Come già sta avvenendo con i telescopi spaziali, ci forniscono informazioni molto più vicine alla realtà di ciò che osserviamo. Questa circostanza comporta una rivisitazione di quanto conosciuto e cominciare ad apportare modifiche, correzione e interessanti aggiunte di questioni finora sconosciute.
Stiamo vivendo un periodo stimolante che ci porterà a riscrivere una bella copia delle varie scienze che, nella realtà, sono collegate tra loro.