Carità è un termine che deriva dal latino “caritas”, che significa affetto, benevolenza, con la derivazione da “carus”, che significa amato, caro e da “chàris”, cioè grazia. Essa si esprime solo relazionandosi con altri ed è in questo approccio che subentra la psicologia relazionale.
La Carità è una delle virtù teologali per cui “amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi, per amore di Dio”. Essa non ha come soggetto l’uomo, ma Dio. L’uomo è oggetto di Carità nella misura in cui Dio beneficia del suo amore chiedendo all’uomo di rispondere con la fede e la speranza.
Come subentra la psicologia
La psicologia delle relazioni si occupa del dialogo tra due persone, della modalità di conversazione e di interazione tra più soggetti. Approfondisce e analizza la tipologia di scambio e di comunicazione, il linguaggio utilizzato, il comportamento adottato, le finalità, le intenzioni e i valori promossi.
La Carità, intesa cristianamente, è un semplice atto di amore, un gesto di affetto.
Sappiamo che la modalità di interazione dà origine a diverse tipologie di relazione interpersonale. Può accadere che una persona vien posta ad un livello inferiore o superiore rispetto all’altra, oppure si parla di relazione “sul piano dell’uguaglianza” quando nei modi di dialogare mettiamo in atto un comportamento in cui entrambe le parti ricevono, ma possono anche dare.
Il dialogo fra due persone suppone il reciproco ascolto, la conoscenza dell’altro e del suo problema o bisogno, la comprensione delle ragioni per le quali l’altro avanza delle richieste o esprime un bisogno e la ricerca delle soluzioni per uscire dalla situazione del bisogno stesso.
Per noi cristiani al centro delle relazioni prende forma la Carità, proprio perché essa stessa è il cuore della vita cristiana. In questa prospettiva, è possibile prendere in considerazione un dialogo nella Carità che, come tale, supponga un donare che non umilia, ma che fa crescere.
Un dialogo che supponga un fare il bene senza scopi nascosti, senza creare delle inutili dipendenze o sentire il bisogno di legare la persona a noi stessi, perché tutto è contemplato nella libertà e gratuità.
Il punto di vista della psicologia
Se dunque la Carità è il cuore della vita cristiana, delle nostre relazioni, del nostro agire, è possibile arrivare ad affermare che la stessa Carità è nella relazione e che la relazione è nella carità!
Quando stiamo in una relazione, sperimentiamo ogni volta la capacità di dare una forma alla relazione stessa, mediante il nostro comportamento e che rispecchia il “nostro essere”.
Il fare influisce sul nostro essere per cui se viviamo nella carità e facciamo la carità, essa stessa ci fa caritatevoli! È nella relazione che noi cogliamo il bisogno dell’altro, ma prima ancora incontriamo la persona dell’altro.
L’esempio del buon samaritano
Pensando alla Carità è semplice collegarla con la parabola del buon samaritano, in cui vengono usati verbi significativi quali: “vedere” il prossimo mentre si fa vicino per strada, “averne compassione”, “farsi vicino”, “fasciargli” le ferite, “caricarlo” sulla propria cavalcatura, “portarlo” all’albergo, “affidarlo” ad un altro, “essere pronti a” pagarne i servizi.
Questi verbi ci conducono ai tre stati d’animo del buon samaritano (che rappresenta ciascuno di noi) e che sono collegati al concetto della Carità:
“rendersi conto della presenza altrui”, che vuol dire l’uscire dall’autoreferenzialità e dallo sguardo solo su se stessi;
“sentire compassione”, che significa provare empatia, provare gli stessi sentimenti dell’altro;
“fare quello che è possibile con i propri mezzi”, senza scaricare le proprie responsabilità, ma agendo mediante la capacità del “mettersi in gioco”.
La psicologia ci aiuta a comprendere il valore delle relazioni umane, il ruolo importante delle modalità di scambio, della comunicazione, del linguaggio, dell’empatia e della capacità di ascolto.
Follereau sosteneva che “la Carità è una presenza. Bisogna non solo dare ma darsi”. La Carità pulsa nella vita cristiana, impregnandosi nella figura del buon Samaritano che impara la dolcezza ispirandosi alla carità, regina delle virtù.
La psicodinamica entra nella dinamica delle relazioni
La psicologia studia e analizza la dinamica umana dell’amicizia con particolare attenzione ai dati circa il rapporto fra identità personale e relazione con gli altri (Luigi Rulla). È, infatti, all’interno di questo rapporto che si colloca il tema dell’amicizia: è la maturità personale che determina la maturità relazionale e non viceversa. Per relazionarsi con gli altri in maniera autentica occorre l’«effettiva» libertà di vivere secondo i valori accettati e creduti.
Inoltre, per vivere in maniera matura la relazione cristiana ci sono due disposizioni, necessarie anche se non sufficienti, della motivazione della persona. Si tratta di due disposizioni che agiscono insieme per favorire una maturità della relazione stessa: il dono di sé (che riguarda la «maturità esistenziale») e la libertà con cui si vive il dono di sé (che riguarda la «maturità strutturale»).
Il caso
Un uomo di 29 anni, mi confessò che, in gioventù, sognava di entrare in seminario per diventare prete-missionario. Desiderava aiutare le popolazioni bisognose africane arretrate. Non volle, però, esaudire questo desiderio perché si rese conto che il mondo della Chiesa romana era in disfacimento morale. Questa convinzione non corrispondeva a ciò che lui desiderava veramente.
Tuttavia, in lui era rimasto il forte desiderio di poter fare qualcosa per aiutare chi era in difficoltà, una forma di carità disinteressata che però lo arricchiva molto. Non gli era sufficiente partecipare con il solo invio di denaro, ma voleva intervenire operosamente in prima persona.
La sua situazione economica era molto elevata: non aveva bisogno di lavorare per vivere. Non aveva mai amato i divertimenti eccessivi, non aveva molti amici. I pochi condividevano, anche se non in modo così estremo, i suoi valori etici.
Stava frequentando una donna che però non era empatica come lui. Nel frattempo era entrato nei laici comboniani e questo compromise il rapporto con questa signora che non voleva che “perdesse il suo tempo dietro a quei poveracci”. Lei lo incitava a fare dei viaggi in giro per il mondo come turista di prima classe.
La sua scelta, alla quale è arrivato anche con il mio aiuto, fu quella di seguire la sua indole. Scelse la strada delle buone relazioni con gli altri dove la carità consisteva non solo a dare, ma anche a ricevere dagli altri. Mi disse che in un paese africano, aveva aiutato economicamente una donna giovane per un intervento chirurgico. Tutto andò bene e il momento più bello che lo commosse fu quando il marito della donna lo abbracciò chiamandolo “fratello celeste”. Lui sentì di ricevere da quest’uomo un atto di carità perché quelle parole lo facevano crescere.
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