Avarizia – La persona avara esprime una difficoltà a comportamenti empatici e non si rende conto della sua condotta disfunzionale nelle relazioni sociali. Spesso l’avarizia è legata alla sfiducia verso l’esterno e verso gli altri assumendo una posizione iper-vigile e controllante.
Sull’avarizia diceva Sigmund Freud: “L’avaro soffre di stitichezza”. Secondo il padre della psicoanalisi, dietro la tirchieria c’è un’enorme, inconfessata insicurezza negli affetti fondamentali, una ferita profondissima e antica. Non a caso spesso negli avari è presente un sintomo psicosomatico chiaro: la stipsi.
L’avarizia è una forma di insensibilità al bisogno altrui. L’avaro non percepisce davvero il disagio della famiglia costretta a stringere la cinghia. Non si accorge della delusione degli amici feriti dalla sua scarsissima disponibilità, dai trucchetti meschini cui ricorre per non offrire mai, non ricambiare, non gioire insieme. Insomma, non è cosciente di quanto con il suo comportamento toglie agli altri.
Spesso chi è avaro è anche iper-controllante nei confronti degli altri, è sospettoso, malizioso, machiavellico. Va in cerca di continue conferme circa l’altrui opportunismo. Questo perché sembra essere amaramente persuaso che al mondo esistano due sole categorie di persone: i falsi e gli ingenui. Rifugge dai primi, commisera e sfrutta i secondi.
Questo fa dei taccagni persone affettivamente isolate, anche quando riescono a mantenere rapporti stabili, a sposarsi e ad avere figli. L’unica forma di relazione che gradiscono è la dominanza, la possibilità di gestire gli affetti con la stessa rigida parsimonia con cui adoperano il denaro.
I gradi dell’avarizia
Avarizia giustificata – Ovviamente ci sono gradi diversi del vizio. Niente di strano se si spende con misura, con attenzione, ma senza negare a se stessi e agli altri, piaceri e comodità. Siamo nella normalità, ognuno sceglie come preferisce vivere, se in maniera più o meno spartana.
Avarizia patologica – Esistono persone con un nutrito conto in banca che patiscono il freddo (perché il riscaldamento costa). Altri mangiano poco e male (il conto del supermercato è una sofferenza). Altri si avvelenano (peccato buttare un alimento o un farmaco solo perché scaduti). Ancora altri che non si curano (per non affrontare le parcelle del medico), e così via.
Pensieri e comportamento dell’avaro
Più che l’aspirazione alla ricchezza, l’avaro è tormentato dallo spettro della scarsità. Non vuole, come comunemente si immagina, arricchirsi alle spalle degli altri. Piuttosto, teme che il dare qualcosa a qualcuno possa rovinarlo, possa turbare il fragile equilibrio psicologico su cui basa la sua idea della realtà. Così, chi vive nell’avarizia vede il male dove non c’è alcun male, travisa la generosità con la stupidità, scambia la disponibilità con l’opportunismo e vede il successo altrui come il risultato di illeciti e di macchinazioni.
Secondo Freud, inoltre, c’è un’altra spiegazione per la psicologia dello spilorcio: il più delle volte, dietro un avaro, c’è una madre che magari non è capace di amare, ma sa benissimo controllare, onnipotente e imperversante. Ecco spiegato il motivo per cui spesso siano avari quegli uomini che non si sposano per non condividere con una compagna le proprie cose, e anche perché non riescono a sfuggire al controllo materno.
In merito al rapporto con il denaro, possiamo distinguere diversi atteggiamenti: l’oculatezza e l’avarizia. La tendenza alla parsimonia non va confusa con quest’ultima. Si parla difatti di oculatezza quando si evita di consumare in modo esagerato e senza reali necessità, quando si spende con attenzione e misura, ma senza negare a se stessi e agli altri, piaceri e comodità. Tale atteggiamento, opposto a quello bulimico tipico del consumismo di oggi, è apprezzabile e rientra nella normalità.
La tendenza alla parsimonia si trasforma invece in malattia quando, oltrepassando una certa soglia, giunge a danneggiare la qualità delle relazioni interpersonali dell’individuo.
Va evidenziato che l’avarizia non ha nulla a che fare con la mancanza di soldi e con la necessità oggettiva di risparmiare: è molto facile che un avaro sia ricco o perlomeno benestante e molto raro che sia povero.
L’avarizia si sposta sempre sui sentimenti
Chi è affetto da questa vera e propria malattia è incapace di dare affetto, di percepire le mortificazioni affettive ed il disagio che arreca ai suoi cari, amici, partner, familiari.
Ne deriva, da quando posto in luce, che l’avarizia è caratterizzata da una forma di insensibilità ai bisogni altrui, che si manifesta con l’evidenza che malato non è consapevole di quanto il suo comportamento pesi sugli altri, né della delusione che arreca ai familiari e amici, feriti dai suoi trucchetti a cui usa ricorrere per non offrire mai, né ricambiare.
Dall’avarizia patologica e dalla dipendenza dal denaro si può guarire?
Spesso sono le esperienze stesse ad insegnare agli avari che il costo del trattenere per sé e non dare agli altri, è troppo alto e magari, dopo aver rovinato un amore, e/o un’amicizia, molti di loro riformulano l’ordine nelle priorità di vita, collocando al primo posto le relazioni con gli altri e non il dolore del denaro che se ne va, iniziando a sperimentare comportamenti diversi, con la gratificazione affettiva derivante.
Quando ricorrere allo specialista?
Gli avari, non ammettono, mai di esserlo, non riconoscono, il loro atteggiamento che è soltanto, per loro, di difesa di quello che possiedono. Le rare volte che chiedono aiuto è perché giungono a sentirsi isolati dal mondo e non ne comprendono la ragione.
La guarigione passa per l’acquisizione della disponibilità a dare che il paziente potrà far sua dopo un percorso. Si tratta di un viaggio non facile in cui emergerà il dolore nascosto da chi nei primi anni non è stato amato e che ha risposto al vuoto affettivo, ha reagito interpretandolo per anni come “carenza” di denaro e oggetti.
Il luogo della “carenza”, rimasto vuoto da sempre, a causa di un bisogno di affetto non colmato nell’infanzia, va riempito di altro, insegnando al paziente a dare, superando il terrore che dando, non trattenendo più, quel vuoto si amplificherà, con tutto il suo dolore.
Si tratta di un lavoro di elaborazione lungo e complesso. Non tutti sono disposti e pronti a perseguirlo, ma soprattutto, difficilmente il sintomo viene riconosciuto come un problema.
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